tate Paolina: e vogliatemi bene. Parlerò di voi con Canova: e tenterò
se egli che ha più mezzi d’ogni altro uomo al mondo, ed è il miglior
cuore di tutti i viventi, possa far nulla di vostro bene. V’abbraccio
con tutta l’anima, e vi amo quanto non so esprimere. Addio.
Mio dolcissimo. Viene a consolarmi la tua dei 20 dopo l’al-
tra dei 10, alla quale risposi costà il 19. O mio caro, sei pur
sempre quell’uomo imparagonabile e unico, quali io mi figurava
tutti gli uomini qualche anno addietro, ora appena mi par cre-
dibile che veramente uno se ne ritrovi. Ma quanto a me non
ti dare altro pensiero che d’amarmi, giacche in questo è collo-
cata la mia consolazione e nella speranza della morte che mi
pare la sola uscita di questa miseria. Perch’eccetto queste, io
non trovo cosa desiderabile in questa vita, se non i diletti del
cuore, e la contemplazione della bellezza, la quale m’è negata
affatto in questa misera condizione. Oltre ch’i libri, e, partico-
larmente i vostri, mi scorano insegnandomi che la bellezza appena
è mai che si trovi insieme colla virtù, non ostante che sembri
compagna e sorella. Il che mi fa spasimare e disperare. Ma que-
sta medesima virtù quante volte io sono quasi strascinato di
malissimo grado a bestemmiare con Bruto moribondo. Infelice,
che p[er] quel detto si rivolge in dubbio la sua virtù, quand’io
veggo p[er] esperienza e mi persuado che sia la prova più forte
che ne potesse dar egli, e noi recare in favor suo.
Poich’il trovar da vivere a primo tratto uscendo di qua, non
è cosa possibile, come voi mi fate certo, assicuratevi e abbiate
p[er] articolo di fede ch’io mai e poi mai non uscirò di Recanati
altro che mendicando, prima della morte di mio padre, la quale
io non desidero avanti la mia. Questo abbiatelo p[er] indubi-
tato quanto l’amore ch’io vi porto, che nè la vostra eloquenza,
nè di Pericle di Demostene di Cicerone di qualunque massimo