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denza ch’è nata dalla considerazione della sua cortesia. Non nego, anzi confesso distintamente che ho sommo bisogno di questa sua cortesia perch’Ella non si rechi ad offesa la mia presunzione, giacché non ho avuto altro motivo d’infastidirla che le sue virtù e la fama singolare, segnatamente nelle lettere; in maniera che m’ha servito di sprone quello stesso che m’avrebbe dovuto rite- nere. Ma s’io non ho saputo resistere al desiderio d’esser testi- monio più speciale delle sue virtù, e godere dell’ingegno di V. S. più particolarmente che non ne gode il comune degl’italiani, non posso fuorché pregarla che mi scusi in rispetto della sua benignità, ed anche voglia attribuire qualche parte della colpa a se medesima, perchè io non avrei pensato a disturbarla se V. S. si fosse contentata di tanto merito quanto avesse potuto restare, non dico ignoto, ma senza quel grido ch’è penetrato ancora in questo mio romitaggio o piuttosto serraglio, dove mancano egual- mente e i diletti della società civile, e i vantaggi della vita soli- taria. Quanto spetta al libricciuolo1 che sarà con questa, V.S. dovrebbe giudicarmi poco perito dell’uso de’ vocaboli s’io lo chiamassi dono. Ma quantunque non sia dono, Ella s’accerti che nemmeno è capitale dato ad usura, come sogliono dare i libri loro la maggior parte delle persone, esigendo, se non altro, che siano letti. Ora io so bene che non potrei chiedere a’ pari suoi cosa più grave che la lettura d’un mio scritto. Perciò non le domando se non ch’Ella si compiaccia di non rigettarlo, e di tenerlo piuttosto come segno di riverenza che d’ardire usato nell’offrirle cosa tanto spregevole. E l’obbligo mio crescerà infi- nitamente e insieme colla stampa V. S. non si sdegnerà d’accet- tare anche me per quello che già le sono da molto in poi col desiderio, e sarò per l’avvenire coll’effetto, quando Ella me lo consenta; io dico per suo

Devmo Obblmo Servitore.
Giacomo Leopardi

Recanati 19 Febbraio 1819