mamma, al zio Marchese Carlo: salutatemi la sorellina, e i minori fra-
telli: ch’io vi amo e vi abbraccio di cuore.
Ho letta l’opera postuma di Madama Stael;1 e mi è piaciuta mol-
tissimo. Vostro zio troverà in quella i suoi sentimenti, e dovrà piacer-
sene. Addio addio.
Risposi il 19 del passato alla vostra ultima1 di Bologna,
mandandovi un libricciuolo manoscritto il quale m’accorgo dalla
vostra di Piacenza del 29 8bre che non l’avete ricevuto come
nè anche la lettera. Mi date due buone nuove che mi rallegrano
assai, l’una che state benissimo, specialmente di salute, anche
oltre all’ordinario, intorno alla quale vi dirò che quando anche
mi scriveste di trovarvi meglio che qualunque persona del mondo,
non vi dovreste mica aspettare ch’io pregassi Dio, come Filippo,
a voler mescolare un pochino di male alle vostre fortune. L’al-
tra nuova è che forse questo inverno lo passerete scrivendo. E
come quella mi rallegra p[er] cagion vostra, così questa p[er]
cagione tanto mia quanto di molti. Potete stimare con che gusto
saprei di che siete p[er] iscrivere: ma non m’arrischio di doman-
darvelo. Vi ricordate ch’essendo qui vi dissi ch’io teneva p[er]
sicuro, quantunque a non guardarla sottilmente dovesse parer
cosa sofistica e ridicola, che la voce latina somnus derivasse dalla
greca uttvo?? Il che volendovi dimostrare, voi ve ne rideste: io
aggiunsi che non che ne fossi persuasissimo, nè anche dubitava
che questa derivazione non fosse stata già notata e data p[er]
certa dagli etimologisti, ancorché non mi fosse capitato di vederla
appresso veruno. E così voi stimandola un sogno, io verità di
fede, passammo ad altro. Ora vedete che cosa io trovai presso
Gellio poco dopo partito voi. Sta nel Libro 13 Capitolo 9: Quod
Greci uTcèp, nos super dicimus; quod item illi unvot;, nos primo
sypnus, deinde per y Graeca Latinaque littera cognationem,