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118. A Pietro Giordani.
Recanati 2 Marzo 1818.

Non guardate, o mio Carissimo a quello che la malinconia e molto più l’amore immenso m’ha potuto far dire, e p[er] l’avanti scrivetemi a vostro agio e brevemente e come vi piace: non voglio che l’amicizia mia v’accresca le brighe e le molestie che vi dovrebbe scemare se potesse. Il piego arrivò in Ancona il 17 di Febbraio: n’ebbi subito avviso, ma mio padre, mandandola d’oggi in domani, ancora non l’ha fatto venire: venuto che sarà ne scriverò a voi e al Mai che probabilmente infastidirò; pure non mi voglio mostrare ingrato. Dei Beicari, se non sono col Senofonte, che non credo perchè voi non me n’avvertiste, non ho notizia. Se consegnerete allo Stella la lettera sul Dionigi, vor- rei che me n’avvisaste, se non crederete più bene di consegnar- gliela, p[er] qualunque cagione sia, non accade che me ne par- liate, e fate come vi pare. Mi domandate del soggetto di quell’altra lettera lunga ch’io diceva di volervi scrivere. Ma sapete che siete un curiosaccio? Nondimeno perchè l’incertezza pro- duce o accresce l’aspettazione, e io temo sempre il Parturient moritesi ve lo dirò: è il Frontone. Della salute sic babcto. Io p[er] lunghissimo tempo ho creduto fermamente di dover morire alla più lunga fra due o tre anni. Ma di qua ad otto mesi addie- tro, cioè presso a poco da quel giorno ch’io misi piede nel mio ventesimo anno, Iva ti xeni 8at(xóviov evdto zà> npayiJ.<xxi,: ho po- tuto accorgermi e persuadermi, non lusingandomi, o caro, nè ingannandomi, che il lusingarmi e l’ingannarmi pur troppo m’è impossibile, che in me veramente non è cagione necessaria di morir presto, e purché m’abbia infinita cura, potrò vivere, bensì strascinando la vita coi denti, e servendomi di me stesso appena p[er] la metà di quello che facciano gli altri uomini, e sempre in pericolo che ogni piccolo accidente e ogni minimo spropo- sito mi pregiudichi o mi uccida: perchè in somma io mi sono rovinato con sette anni di studio matto e disperatissimo in quel