Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/263

ho parlato ultimamente in Milano; come vi scrissi. L’articolo sul giu- dizio viscontiano fu scritto da me; ma nella stampa mutato. Io non mi muoverò di qua; se non forse un poco in novembre, per andare pochi giorni a Milano. Però scrivetemi qua, ognora che senza disagio il potete, per consolarmi. Duoimi assai assai della vostra salute; che non cesserò mai di raccomandarvi. Gran rimedio, e unico, sarebbe muo- vervi, distrarvi, cercar un poco di nuovo paese: e comincierei da Roma. Penso che il vostro Signor Padre avrà cura di un sì prezioso figlio; e penserà non poter meglio usare la sua fortuna che nel conservarvi sano e lieto, e mantenervi a quelle uniche e rarissime speranze che di voi ha l’Italia. Quanto siete buono, Contino mio caro! ma toglietevi affatto dal- l’affliggervi o inquietarvi mai per me. Sappiate che io sono indurato ai mali; e difficilmente può accadermi cosa alla quale non basti la mia pazienza. Ora però sto bene; e non posso lamentarmi di nulla. Se i miei impeti di studio non fossero rarissimi e brevissimi, piglierebbemi voglia di scappare da questo povero paesaccio, dov’è propriamente miserabile e vergognosa la penuria de’ libri anche più usuali. Ma poi- ché io non voglio leggere se non per riguadagnare il sonno, ch’è l’ele- mento della mia vita, posso facilmente tolerare questa miseria. In tutto il resto ho cagione di esser contento. Qui, (come altrove) nobiltà igno- rante e superba; preti ignoranti e fanatici; moltitudine infinita di scioc- chi; miserie e vizi; un governo che fa pietà: ma alcuni uomini eccel- lenti e rarissimi; dai quali posso continuamente imparare; amici fedelissimi e cari; qualche donna amabile; molta libertà di pensare e di parlare. Le mie cose spero d’accomodarle in modo d’averne indi- pendenza e qualche agiatezza. Gran consolazione mi dà la sorella, che è il miglior cuore del mondo; d’una ingenuità soavissima; affezionata a me quanto mai si può. Mi diverto ad esercitare pazienza colla mia buona madre, che è la più sublime e la più incomoda santa della terra: mi diverte il potermi vantare di sopportare una santità, che impazien- tirebbe gli apostoli e i profeti. Mio fratello, diligentissimo nei danari, ma del restante buon uomo, vive lontano; va seminando evangelio per coglier pecunia (la quale saviamente pensa che non è mai troppa) e viviamo concordissimi. E io vivo quieto, libero, contento: poiché biso- gna pur contentarsi del mediocre: facilem amo vitam parabilemque. Dunque, contino mio, di me non vi prendete mai pena. Oh se io potessi venirvi a trovare, e consolarvi un poco! Ma vedete che debbo pur man- care della promessa al fratello, e all’amico Cicognara. Spero che l’anno