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85. A Pietro Giordani.
[Recanati] 29. Agosto [1817]

Caro carissimo, dilettissimo Giordani. Due lettere io v’avea indirizzate a Venezia prima di ricevere la vra dei io.1 Non cre- diate che potessi stare tanto tempo senza scrivervi. Nella prima vi pregava che non pensaste di me quello che con poco pericolo di sbagliare si pensa dei giovani, quando dicono di essere infe- lici; vi diceva che benché io abbia molti desiderii, nessuno ha potuto mai nè potrà farmi infelice; che tale mi fa l’assenza della salute, che togliendomi lo studio in recanati mi toglie tutto, oltre al pensiero, che è stato sempre il mio carnefice, e sarà il mio distruttore s’io durerò in poter suo in q.ta solitudine; vi descri- veva la mia vita che da sette mesi in qua consiste in passeggiare solitariam.0, potendo appena fare Un’ora di lettura al giorno; vi pregava che aveste p[er] certis.0 che io, stando come sto, non posso più divertirmi di q.'0 che fo, che non mi diverto niente; aggiungeva che p[er] essere stato alquanti giorni meglio d.la salute, era entrato in molta speranza di potermi rifare mutando vita la quale non si muta perchè q‘° non istà in me; facea qualche castello in aria sopra la vra visita tanto deside- rata; vi dicea qualche bagattella sopra i trecentisti; e vi compa- tiva come fo nelle vfe brighe e noie, confortandovi ad aver pazienza. Nell’altra let.a mi sforzava di placare la pietosa ira con cui mi avevate scritto il 27 Lug., assicurandovi che io non sono ostinato, ma vi ubbidisco veram.6 avendo passato 7. mesi senza scrivere si può dir niente, e con leggere più che pochis- simo, ed essendo poca cosa l’aver dettata una let.a In ultimo vi pregava, come vi prego anzi vi scongiuro e vi comando, di non v’affliggere in nessun modo p[er] me, che volentieri sarei sempre afflitto perchè voi foste sempre lieto. Quanto al mal pre- sente, bisogna far grand’animo e sopportarlo, e quanto al danno che ne potrà venire, che ci s’ha a fare? Basta ch’io non ci avrò colpa. Vedete che non posso dire di esser sano; ma lieto mi sforzo