[Recanati] 29. Agosto [1817] |
Caro carissimo, dilettissimo Giordani. Due lettere io v’avea
indirizzate a Venezia prima di ricevere la vra dei io.1 Non cre-
diate che potessi stare tanto tempo senza scrivervi. Nella prima
vi pregava che non pensaste di me quello che con poco pericolo
di sbagliare si pensa dei giovani, quando dicono di essere infe-
lici; vi diceva che benché io abbia molti desiderii, nessuno ha
potuto mai nè potrà farmi infelice; che tale mi fa l’assenza della
salute, che togliendomi lo studio in recanati mi toglie tutto, oltre
al pensiero, che è stato sempre il mio carnefice, e sarà il mio
distruttore s’io durerò in poter suo in q.ta solitudine; vi descri-
veva la mia vita che da sette mesi in qua consiste in passeggiare
solitariam.0, potendo appena fare Un’ora di lettura al giorno;
vi pregava che aveste p[er] certis.0 che io, stando come sto,
non posso più divertirmi di q.'0 che fo, che non mi diverto
niente; aggiungeva che p[er] essere stato alquanti giorni meglio
d.la salute, era entrato in molta speranza di potermi rifare
mutando vita la quale non si muta perchè q‘° non istà in me;
facea qualche castello in aria sopra la vra visita tanto deside-
rata; vi dicea qualche bagattella sopra i trecentisti; e vi compa-
tiva come fo nelle vfe brighe e noie, confortandovi ad aver
pazienza. Nell’altra let.a mi sforzava di placare la pietosa ira
con cui mi avevate scritto il 27 Lug., assicurandovi che io non
sono ostinato, ma vi ubbidisco veram.6 avendo passato 7. mesi
senza scrivere si può dir niente, e con leggere più che pochis-
simo, ed essendo poca cosa l’aver dettata una let.a In ultimo
vi pregava, come vi prego anzi vi scongiuro e vi comando, di
non v’affliggere in nessun modo p[er] me, che volentieri sarei
sempre afflitto perchè voi foste sempre lieto. Quanto al mal pre-
sente, bisogna far grand’animo e sopportarlo, e quanto al danno
che ne potrà venire, che ci s’ha a fare? Basta ch’io non ci avrò
colpa. Vedete che non posso dire di esser sano; ma lieto mi sforzo