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72. Di Pietro Giordani.
Milano 10. giugno [1817]

Mio Carissimo Signor Contino. Quanto più ella mi scrive, più mi dà cagione di amarla e di ammirarla. Oh chi potrebbe oggi in Italia far tali scherzi; e inni greci e odi anacreontiche! Ma tutto questo mi fa sempre sospirare per la sua salute. Ella non mi dice mai se ascolta le mie preghiere; se nuota, se cavalca, se almeno passeggia. Se dio mi concederà ch’io venga in cotesti paesi, sono già risoluto di usarle cor- tese violenza; e di obligarla a camminar molto, e fare esercizio. Di que- sto eli’ha bisogno, e non di studio. S’ella vuol salire le ultime cime del sapere, eserciti molto il suo corpo; non le manca più altro. Circa il mio venire è sincerissimo il mio desiderio. E in prova di ciò le dico molto innanzi che parmi avere ben inteso un tratto delicatissimo della sua lettera: ma che mi sarebbe impossibile accettar altro che di goder la sua compagnia, e usar della sua libreria: nè ho sì stretto parente o amico dal quale mi inducessi ad accettar altro. Ben mi sarebbe gran servizio s’ella mi trovasse una dozzina quieta pulita ed amorevole. Tornando alle sue composizioni è naturale il suo desiderio di sapere che se ne dica qui: il che non posso saper io, che vivo in Milano come in una campagna; poiché dovunque io fuggo gli uomini, che troppo conosco. Ma parlando per congettura, stimo che pochi parlino degli studi suoi così alieni dal volgo. Mio caro Contino, qui gli uomini sono come altrove. Quelli che più potrebbero e dovrebbero leggere, i nobili e i preti, sono in Lombardia come nella Marca e in tutto il mondo. Poco si legge; e quel poco, di frivolezze. Io poi non ho usanza se non del Monti, del Rosmini, e del Mai: coi quali parlo di lei; e più spesso coll’ultimo, ch’è di lei ammiratissimo quanto sono io. E un cenno di quel che io ne pensi lo darò pubblicamente alla prima occasione. Luigi Uberto Giordani è di Parma, e mio cugino; buono scrittore di versi. Ma il traduttor di Giovenale era un gesuita pavese. Per la posta le ho mandato una mia difesa del Dionigi del Mai. Allo Stella consegnai il mio Panegirico, grosso volume. Giustissima è la sua osservazione che la stretta affinità della lin- gua italiana colla greca, tanto manifesta ne’ trecentisti, non poteva sentirsi ne’ cinquecentisti. Lodo sommamente ch’ella s’innamori de’ trecentisti; e col capitale loro voglia tradurre prose greche. Ella che