Mio Carissimo Signor Contino. Quanto più ella mi scrive, più mi
dà cagione di amarla e di ammirarla. Oh chi potrebbe oggi in Italia
far tali scherzi; e inni greci e odi anacreontiche! Ma tutto questo mi
fa sempre sospirare per la sua salute. Ella non mi dice mai se ascolta
le mie preghiere; se nuota, se cavalca, se almeno passeggia. Se dio mi
concederà ch’io venga in cotesti paesi, sono già risoluto di usarle cor-
tese violenza; e di obligarla a camminar molto, e fare esercizio. Di que-
sto eli’ha bisogno, e non di studio. S’ella vuol salire le ultime cime
del sapere, eserciti molto il suo corpo; non le manca più altro. Circa
il mio venire è sincerissimo il mio desiderio. E in prova di ciò le dico
molto innanzi che parmi avere ben inteso un tratto delicatissimo della
sua lettera: ma che mi sarebbe impossibile accettar altro che di goder
la sua compagnia, e usar della sua libreria: nè ho sì stretto parente
o amico dal quale mi inducessi ad accettar altro. Ben mi sarebbe gran
servizio s’ella mi trovasse una dozzina quieta pulita ed amorevole.
Tornando alle sue composizioni è naturale il suo desiderio di sapere
che se ne dica qui: il che non posso saper io, che vivo in Milano come
in una campagna; poiché dovunque io fuggo gli uomini, che troppo
conosco. Ma parlando per congettura, stimo che pochi parlino degli
studi suoi così alieni dal volgo. Mio caro Contino, qui gli uomini sono
come altrove. Quelli che più potrebbero e dovrebbero leggere, i nobili
e i preti, sono in Lombardia come nella Marca e in tutto il mondo.
Poco si legge; e quel poco, di frivolezze. Io poi non ho usanza se non
del Monti, del Rosmini, e del Mai: coi quali parlo di lei; e più spesso
coll’ultimo, ch’è di lei ammiratissimo quanto sono io. E un cenno di
quel che io ne pensi lo darò pubblicamente alla prima occasione.
Luigi Uberto Giordani è di Parma, e mio cugino; buono scrittore
di versi. Ma il traduttor di Giovenale era un gesuita pavese. Per la
posta le ho mandato una mia difesa del Dionigi del Mai. Allo Stella
consegnai il mio Panegirico, grosso volume.
Giustissima è la sua osservazione che la stretta affinità della lin-
gua italiana colla greca, tanto manifesta ne’ trecentisti, non poteva
sentirsi ne’ cinquecentisti. Lodo sommamente ch’ella s’innamori de’
trecentisti; e col capitale loro voglia tradurre prose greche. Ella che