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gliel darò più. Io volea dire, Consigliere e guida negli studi, e spero ch’Ella non rifiuterà quest’ufficio in favor mio, se rifiuta quel nome. Mi dolgo assai quando penso che forse le avrò fatto stomaco attribuendole la traduzione di Giovenale. Ma non aven- dola nè letta nè anco veduta, non potea sapere che fosse inde- gna di Lei, e la memoria mi ha ingannato circa il nome dell’au- tore. Dunque Ella m’abbia pfer] iscusato. Quella versione sarebbe forse di Luigi Uberto Giordani? Una lettera sopra il Libro di Giobbe che ho veduto di lui, m’è parsa molto bella e giudi- ziosa.5 Del panegirico e delle altre cose sue, se Ella ne ha, ho curiosità certo, anzi desiderio grande. Non so se siano di tanta mole che non si possano spedire p[er] la posta. Se sono, quando Ella voglia farmi sì pregiato regalo, potrà consegnarlo allo Stella, che me lo spedisca con altre cose che gli ordinerò. Quando le ho detto che Cicerone una volta che la mia mente si trovava, come accade, in certa disposizione da bramare impres- sioni vive e gagliarde, mi parve (e fu in un trattato filosofico) più lento e grave che non si conveniva al mio desiderio di quel momento, non ho già voluto dire che questo e gli altri sommi prosatori mi raffreddino e rallentino. Sarebbe questa la grande infelicità o più veramente stupidità. Io comechè, forse p[er] incli- nazione di natura, ami con certa parzialità la poesia, pure leggo e studio, come posso, i prosatori, e in leggerli non mi fo forza, ma provo un diletto infinito e squisitissimo. E benché creda che non si debba cercare di divenire eccellente in molti generi, non p[er] questo mi pare che io anche coltivando la poesia, abbia a lasciare da banda la prosa perchè sarebbe bene meschino let- terato quegli che non sapesse scrivere altro che versi. E però io mi studio di coltivare ambedue i generi di scrittura insieme e quasi con pari sollecitudine. Quello che io le cianciava nel- l’ultima mia intorno alla divina mente di Orazio, ho poi pen- sato che p[er] la maniera in cui l’ho posto, avrebbe potuto muo- verle ira, e nausea giustissimamente. E vero che io fino allora avea parlato di me in particolare, ma quivi tornava al generale, che tanto ha che far la mia mente con quella intesa e voluta da Orazio quanto la luna co’ granchi e l’asino colla lira. Dopo