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loro pittura, leggere i trecentisti. Spero ch’ella sia persuasa che l’ot- timo scrivere italiano non possa farsi se non con lingua del trecento, e stile greco. Chi forma il proprio stile sui latini, lo avrà sempre meno fluido, meno semplice, meno gentile, meno tenero, meno pieghevole, meno dolce, meno affettuoso, meno melodioso, meno vario. E poi ella si accorgerà facilmente quanto maggior amicizia e parentela abbia colla nostra lingua la greca che la latina: e dove i latinismi per lo più ci rie- scono duri e strani; una grandissima quantità di maniere greche ci ver- rebbero spontanee, naturali, avvenentissime. Io ho fatta molte volte questa considerazione: e sonmi maravigliato e doluto che non la faces- sero nel cinquecento que’ tanti che sapevan bene l’una e l’altra lin- gua, e vollero piuttosto latinizzare, con pochissimo profitto del nostro idioma. Pensi un poco quanta ricchezza di bello, e quanta gloria acqui- sterebbe chi sapesse mescere gli spiriti e le grazie greche al nostro ser- mone; non la dura scorza esterna, come pedantescamente il Chiabrera. Ci pensi un poco: e spero che mi acconsentirà. Ilo letto la sua cantica;1 la quale renderò allo Stella: e a VS. ne parlerò sinceramente come a me stesso. Primieramente mi ha molto contristato un timore che la sua delicata complessione abbia patito dal soverchio delle fatiche, e le dia quelle tante malinconie. Le ripeto dun- que le preghiere fatte nella mia ultima, e le ripeto con fervidissima istanza; che pensi di acquistar vigore al corpo, senza il qual vigore non si può gran viaggio fare negli studi: pensi a procurarsi robustezza e giocondità di spiriti, e prontezza di umori, cogli esercizi corporali e coi divertimenti. E da filosofo non amar la vita e non temere la morte più del giusto: ma fissarsi nel pensier continuo della morte cotanto spazio quanto ne vuole il componimento di quella cantica, non mi par cosa da giovinetto di dieciotto anni, al quale la natura consente di viverne bene ancora sessanta, e l’ingegno promette di empierli di studi gloriosi. Pensi dunque, io la supplico, a rallegrarsi e invigorirsi: e in vece di allettare i pensieri malinconici li sfugga. L’indole malinconica in atto di allegria è quel temperamento d’ingegno che può produrre le belle cose: ma l’attuale malinconia è un veleno, che più o meno distrugge la possa della mente. Io poi non sono giudice di poesie, se non come quel ciabattino giudicava le pitture. Nondimeno come uno del popolo dirolle, che questa cantica non mi pare certamente da bru- ciare-, e nè anche però la stamperei così subito. Credo che VS. rileg- gendola dopo alquanti mesi vi troverà forse molti segni di felicissimo ingegno; e forse ancora qualche lunghezza, qualche durezza, qualche