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19. Ad Angelo Mai.
Recanati 31. Agosto 1816

Pregiatissimo Signore Non prima del 27. spirante ho ricevuto dalle mani del Sig. Stella la sua cortesissima lettera, colla quale, se quanto si fa per 10 sapere potesse chiamarsi fatica, e se ciò che ho fatto io per la gloria di Frontone potesse servire ad altro che ad oscurarla, ella me ne avrebbe ricompensato abbondantemente.1 Ma pur troppo e nella traduzione e nelle illustrazioni e nei preliminari avrà ella ravvisato il lavoro precipitoso e compito due mesi prima di venirle nelle mani. Tutto abbisognerà di emendamento, ma quanto alla Dedica, non rimproverandomi la mia coscienza se non di aver detto troppo poco, la supplico a permettere che la si rimanga qual è, e l’assicuro che non ho ancora appreso ad adulare; e già vi vorrebbe molto, perchè le lodi date alla sua insigne e veramente esemplare <ptXo7tovia2 ed alla sua, per nostra mala ventura, straordinaria dottrina, fossero adulazioni. Ben graditissime ed utili sopra modo sonomi riuscite le osservazioni che ella non ha sdegnato di fare sopra il mio lavoro, e se io ne abbia cavato profitto ella ne giudicherà, esaminato 11 foglio che le acchiudo. Assai mi duole che le siano troppo poche, e più mi dorrebbe se oltre il desiderio grandissimo che ho io di riceverne delle altre dalle quali possa ugualmente trar vantaggio, vedessi defraudata la speranza datamene dal Sig. Stella, il quale mi ha detto, che ella andava disaminando più minutamente il mio scritto. Giudice assoluto io la costituisco dell’opera mia, e se ella vorrà compiacersi di continuare e condurre a fine le sue savissime osservazioni, e pigliarsi la briga di porre ai loro luoghi i cambiamenti che le invio, fatti dietro i suoi avvisi, io reputerò che l’opera non abbia mestieri d’altro esame, e che, quanto è emendabile, sia già emendata. Veggo bene che io usurpo momenti che dovrebbono esser sacri a tutta la Repubblica delle lettere, svolgendola da occupazioni utili alla universale letteratura, e ne ho rimorso; ma che debbo io dirle?