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Ad Antonio Fortunato Stella. |
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Carmo Sig. ed Amico.
Fui costretto da vivissime istanze di un mio amico raven-
nate a portarmi seco in Ravenna, come Ella ha saputo dal sig.
Moratti, per vedere quelle celebri antichità. Mi trattenni una
diecina di giorni, e tornando, trovai che la sua car.ma dei 9.
mi era stata spedita a Ravenna, appunto pochi momenti prima.
Malgrado le mie ripetute premure per averla subito, non ho
potuto ricuperarla dalla posta di Ravenna prima di ieri. Eccole
la causa della lunga tardanza del mio dovuto riscontro alla sua
lettera. Occupandomi principalmente del Cinonio, non man-
cherò di venir pensando al Diz. filos. e filolog., il quale godo
assai che le vada a genio, come è ancora di mia grande inclina-
zione. Non ho veduto i Sinonimi del Romani, che sento però
molto lodati, e che credo opera di merito, atteso il nome del-
l’autore. Ella non dee dubitare nè della sincerità nè della dili-
genza che io userò nell’esporle la mia opinione circa il primo
volume Ciceroniano, quando esso mi sarà pervenuto. A propo-
sito del Cicerone, Monsig. Invernizzi mi fece sapere, che volendo
Ella mandargli un esemplare della sua nuova edizione, egli
avrebbe desiderato che questo fosse della edizione semplicemente
latina; cosa nella quale io credetti che Ella l’avrebbe facilmente
compiaciuto, e così gli risposi. A Ravenna un mio amico mi
obbligò a scrivere a Lei una lettera commendatizia di una sua
traduzion di Tibullo.1 La lettera, che probabilmente a que-
st’ora Ella avrà già ricevuta, fu scritta sotto gli occhi medesimi
dell’amico. Da ciò Ella giudicherà facilmente del conto che deve
farne, anche relativamente alla mia opinione su quel manoscritto.
I miei complimenti a tutti i suoi, e nominatamente al Sig. Luigi.
Mad. Padovani, che sta bene, riverisce di cuore Lei e la sua fami-
glia. Continui ad amarmi come io l’amo, e mi creda sempre Suo
vero servo ed amico Giacomo Leopardi |