Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/1257

tevi gli applausi di un’adunanza brillante: ma è cosa dura poi il non conoscer la tua poesia più che una di Lord Byron. Ma io mi rallegro con te, perchè il successo è cosa che molto rassomiglia alla felicità, è il più grande antinojoso; e dopo distrutta l’illusione che fa sperare l’amore, e stabilita quella che ne fa disperare, non so cos’altro resti per iscuotere la fibra umana, fuori del successo. Ciò che non vorrei sentire, è che non stai tanto bene di salute: abbiamo giornate della più bella primavera, che credo saranno comuni anche a voi; come mai non ti giovano? al vedere gl’inesprimibili vezzi che hanno in questi giorni le nostre valli e le nostre colline, io richiamo tutte le idee di te e della nostra più che amicizia. Quando ci rivedremo? io certo ho ragione di considerar questo come l’anno più infelice della mia vita, perchè ho dovuto cominciare a vedere come un tuo bene, un male di cui finora non era stato minacciato; la nostra separazione. Del resto, io non soffro nulla, ma son morto; e credilo, non è l’iperbole ch’io cerco, ma lo stato d’annichili mento tanto morale che fisico a cui mi ha condotto, o il corso delle mie circostanze, o l’indole della mia natura, non mi sembra paragonabile che a quello della tomba. Certo, i dolori del malato possono essere orribili, il morto non sente nulla; pure il suo stato è più spaventoso: così è la mia vita. Si parla della strana apa- tia che l’uso dell’oppio produce in alcuni Turchi: io veramente non prendo oppio, e non m’inebrio, come sai, nemmeno di alcun’altra voluttà; ma l’aria di questi paesi sotterranei è micidiale come quella delle maremme: il non aver comunicazione col resto del mondo, e Tesser senza oggetto sì di desiderio che di speranza; questo è il mio oppio. Ti amo però: se non ti amassi, se sentissi estinto in me anche questo principio di vita, seguirei la moda, che come saprai forse, si è intro- dotta da qualche mese in questi nostri deserti.1 Ma mille trasporti ch’io non so esprimerti si formano ancora dentro di me, e tu ne sei l’oggetto: io gemo ancora al ricordarmi quell’ultima notte in cui ci la- sciammo, e la tetra passeggiata che feci per continuare a sentire il tuo legno, e il vivo rincrescimento, che provai per te della pioggia dirotta che mi costrinse a ritirarmi - in somma per te ho ancora un cuore, e tu sei ancora il mio caro e tenero Buccio, cui nessuno salutava dopo di me al suo addormentarsi, nè alcuno rivedeva al suo destarsi prima di me - oh possa io col riabbracciarlo ritrovar la fede alle affezioni e alle speranze! per me non valerebbe la pena di vivere: io vivo in te e per te.