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840. A Carlo Leopardi.
Bologna 13 Febbraio 1826.

Cariuccio mio. Che vuol dire questo silenzio così lungo che tu hai tenuto con me? Ad ogni corso di posta mi figuro di rice- vere una tua lettera, e m’inganno sempre. Sei tu inquieto con me, o non stai bene? Fammi saper qualche cosa, te ne prego, e non mi lasciar mai tanto tempo senza le tue nuove e il tuo carattere. Io respiro con questi giorni tepidi che abbiamo, e la mia salute ne migliora sensibilmente. Ho riscosso dallo Stalla- tico dove il Vetturino gli aveva lasciati, i fichi l’olio e il pacco, ma non ho veduto Fusello, e la roba è rimasta là otto giorni, perchè non sapevano il mio ricapito: e mi han detto ancora che il Vetturino aveva una lettera da consegnarmi, ma io non l’ho avuta. Per ogni altro caso che occorresse in avvenire, ti dirò che il mio ricapito è: Ingresso del Teatro del Corso, in casa Badini, presso il Sig. Aliprandi. Ho un’altra seccatura da darti, ma spero che sarà l’ultima, perchè oramai credo di aver votato casa. Vorrei che tu pigliassi le copie che mi rimangono costì delle mie Can- zoni, e che stanno dove ti dirà Paolina; e vi aggiungessi una delle due copie in carta velina che troverai nel mio commodino. Di più vorrei che nel secondo tiratore del mio comò trovassi la prima copia del Saggio sugli Errori popolari degli antichi, ch’è in quinterni staccati; e che di tutto questo ne facessi un fagot- tino, e lo mandassi al Direttore dell’Ufficio Postale di Loreto Sig. Nicola Grondona, pregandolo di dirigerlo qua per la Dili- genza al Sig. Giuseppe Marchesini Impiegato in questa Posta, col quale già sono d’intesa. A momenti si pubblicherà il manifesto de mes ceuvres complettes.' Ho pregato di un poco di dilazione per il ritratto, che mi volevano far subito, cosa che in inverno non si potrebbe senza mio grande incomodo. Tu che fai? come ti senti? come pensi all’amore infinito che io ti porto, e al gran dolore che ho di non esser teco? Puoi credere che non passa giorno, anzi ora, ch’io non pensi a te in un modo o nell’altro.