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giore di quel che le scrissi. Ma non vedendo mai nulla, non posso più tardare a pregarla di farmi giungere qualche loro notizia per levarmi di pena, benché mi paia di non potere attribuire il loro silenzio se non a qualche errore di posta. Io sto bene, quantun- que l’aria, i cibi e le bevande di Milano sieno il rovescio di quello che mi bisognerebbe, e forse le peggiori del mondo. Contava di partire di qua sulla fine del mese, ma vedo che senza man- care alla civiltà verso lo Stella, non potrò mettermi in viaggio se non dentro il mese venturo, nel qual termine spero di avere sbrigato tutto quello che la creanza esige che io faccia per lui, non già tutto quello che egli desidererebbe da me, perchè a far questo ci vorrebbero più anni, come sa bene egli stesso, il quale mi mostra chiaramente che vorrebbe trattenermi seco quasi per sempre. Ma nè Milano nè una casa d’altri sono soggiorni buoni per me. Bensì se potrò essergli utile da lontano, non mancherò di farlo, e da lontano farò che anch’egli sia utile a me, perchè da vicino le cose vanno in complimenti. Si compiaccia, caro Sig. Padre, di salutare teneramente tutti da mia parte, e di credermi ch’io la amo quanto Ella merita, cioè con tutto il cuore. Non mi privi dei suoi caratteri, per l’amor di Dio. Le chieggo la sua benedizione, e mi ripeto

Suo affettuosissimo figlio
Giacomo
725. A Giuseppe Melchiorri.
Milano 27 Agosto 1825.

Caro Peppino. Tu non mi scrivi più, e dopo l’ultima che ti scrissi da Recanati non so quanti mesi sono, non ho più potuto sapere se sei morto o vivo. Ma basta: ora non ho spazio di lamen- tarmi quanto bisognerebbe. Io son qui per lavori letterarii, ma dentro il mese venturo conto di partire. Ti scrivo questa per pregarti di consegnare al Sig. Olmi portatore della presente, copie 50 delle mie Osservazioni Eusebiane, che egli penserà di far