giore di quel che le scrissi. Ma non vedendo mai nulla, non posso
più tardare a pregarla di farmi giungere qualche loro notizia per
levarmi di pena, benché mi paia di non potere attribuire il loro
silenzio se non a qualche errore di posta. Io sto bene, quantun-
que l’aria, i cibi e le bevande di Milano sieno il rovescio di quello
che mi bisognerebbe, e forse le peggiori del mondo. Contava
di partire di qua sulla fine del mese, ma vedo che senza man-
care alla civiltà verso lo Stella, non potrò mettermi in viaggio
se non dentro il mese venturo, nel qual termine spero di avere
sbrigato tutto quello che la creanza esige che io faccia per lui,
non già tutto quello che egli desidererebbe da me, perchè a far
questo ci vorrebbero più anni, come sa bene egli stesso, il quale
mi mostra chiaramente che vorrebbe trattenermi seco quasi per
sempre. Ma nè Milano nè una casa d’altri sono soggiorni buoni
per me. Bensì se potrò essergli utile da lontano, non mancherò
di farlo, e da lontano farò che anch’egli sia utile a me, perchè
da vicino le cose vanno in complimenti. Si compiaccia, caro Sig.
Padre, di salutare teneramente tutti da mia parte, e di credermi
ch’io la amo quanto Ella merita, cioè con tutto il cuore. Non
mi privi dei suoi caratteri, per l’amor di Dio. Le chieggo la sua
benedizione, e mi ripeto
Suo affettuosissimo figlio Giacomo |
725. |
A Giuseppe Melchiorri. |
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Caro Peppino. Tu non mi scrivi più, e dopo l’ultima che ti
scrissi da Recanati non so quanti mesi sono, non ho più potuto
sapere se sei morto o vivo. Ma basta: ora non ho spazio di lamen-
tarmi quanto bisognerebbe. Io son qui per lavori letterarii, ma
dentro il mese venturo conto di partire. Ti scrivo questa per
pregarti di consegnare al Sig. Olmi portatore della presente, copie
50 delle mie Osservazioni Eusebiane, che egli penserà di far