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710. A Carlo Leopardi.
Milano 31 Luglio 1825.

Carlino mio. Non ti posso esprimere quanto dolore mi ha cagionato la tua dei 251 che ricevetti nel momento ch’io mon- tava in legno per Milano. Io non scrissi con quell’ordinario col quale avevo promesso di scrivere, perchè non essendo ancor pra- tico della tabella degli arrivi e delle partenze, la quale in Bolo- gna è una vera algebra, credetti di essere a tempo in un’ora in cui la posta era già passata. Spero che a quest’ora Babbo avrà ricevuto la mia de’ 22 e l’altra de’ 26, e Zio Ettore quella pari- mente dei 22. Mi dimenticai di dire che vidi finalmente in Bolo- gna il Zio Mosca,2 il quale sta bene, quantunque si lagni de’ suoi nervi, e saluta tutti. Sono arrivato qui iersera, dopo un viag- gio felice, che ho fatto in compagnia di due viaggiatori inglesi. Al primo aspetto mi pare impossibile di durar qui neppure una settimana, ma siccome l’esperienza mi ha insegnato che le mie disperazioni non sempre sono ragionevoli e non sempre si avve- rano, perciò non ardisco ancora di affermarti nulla, ed aspetto molto quietamente quello che porterà il tempo. Io sospiro però per Bologna, dove sono stato quasi festeggiato, dove ho con- tratto più amicizie assai in nove giorni, che a Roma in cinque mesi, dove non si pensa ad altro che a vivere allegramente senza diplomazie, dove i forestieri non trovano riposo per le gran carezze che ricevono, dove gli uomini d’ingegno sono invitati a pranzo nove giorni ogni settimana, dove Giordani mi assi- cura ch’io vivrò meglio che in qualunque altra città d’italia, fuor- ché Firenze; dove potrei mantenermi con pochissima spesa, e per questa avrei parecchi mezzi già stabiliti e concertati, dove ec. ec. Milano non ha che far niente con Bologna. Milano è uno specimen di Parigi, ed entrando qui, si respira un’aria della quale non si può avere idea senza esservi stato. In Bologna nel mate- riale e nel morale tutto è bello, e niente magnifico; ma in Milano il bello che vi è in gran copia, è guastato dal magnifico e dal