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io fo, come io sono mutato da quel che io fui, così gli studi sono mutati. Ogni cosa che tenga di affettuoso e di eloquente mi annoia, mi sa di scherzo e di fanciullaggine ridicola. Non cerco altro più fuorché il vero, che ho già tanto odiato e detestato. Mi compiaccio di sempre meglio scoprire e toccar con mano la miseria degli uomini e delle cose, e d’inorridire freddamente, speculando questo arcano infelice e terribile della vita dell’uni- verso. M’avveggo ora bene che spente che sieno le passioni, non resta negli studi altra fonte e fondamento di piacere che una vana curiosità, la soddisfazione della quale ha pur molta forza di dilettare, cosa che per l’addietro, finché mi è rimasa nel cuore l’ultima scintilla, io non poteva comprendere. Tu hai voluto illustrare la mia oscurità con quelle amorose parole che hai dette di me al Capponi.2 Ben debbo ringraziarti di avermi fatto noto per un momento all’Italia, come io mi sono avveduto per più riscontri, parte maravigliandomi, parte dolen- domi di esser creduto da più che da nulla per le parole di un amico, senza alcun segno che abbia dato io stesso di me, nè speri di dare. Ma ben sai che la stagione è passata, e che se anche io fossi nato buono a qualche cosa, come sono tanti che nascono, egli è già definito e irrevocabile che da questa disposizione non segua verun effetto. Io sono qui senza speranza di uscire. Mi gitterei volentieri a vivere alla ventura, procacciandomi un poco di pane colla penna in qualche città grande, ma non ho nè veggo modo di avere tanto che basti a non morire di fame il dì dopo che io fossi partito di qua. Così dunque mi contento di non fare nè sperar cosa alcuna. Addio, anima mia. Salutami Vieusseux se ti piace, al quale ho scritto più volte senza risposta. Perdonami la noia di questa lunga lettera dove io non so quello che mi abbia detto. Io ti amo con tutta la forza del mio cuore agghiacciato. Addio, addio.