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FRANCESCO MARIA ZANOTTI se, e par che abbiano una certa sembianza di divinità. Ma lasciamo que¬ ste sottigliezze a i metafisici. 111. Zanotti iv, c. vi, 109 (Virtù intellettuali, § 23): Finquì è detto delle virtù intellettuali, che appartengono alla parte contemplativa. Passiamo ora a quelle, che appartengono alla consultativa; e prima diciamo della prudenza. 112. Zanotti iv, c. vi, 109 (Virtù intellettuali, § 24): La prudenza è un abito di conoscere e distinguere rettamente, quali azioni si convengan di jare, e quali non si convengano; e diciamo, che si convien di fare un’azione, quando il farla conduce al fine ulti¬ mo, cioè a dire alla felicità di chi la fa', e perchè tali sono princi¬ palmente le azioni virtuose, però può dirsi, che la prudenza sia un abito di distinguere principalmente quali sieno le azioni virtuose, e quali no. 113. Zanotti iv, c. vi, 109 (Virtù intellettuali, § 25): Di qui si vede, quale sia la materia, intorno a cui versa la pruden¬ za; ed e non altro, che le azioni convenienti, massimamente le virtuose. Ed è ufficio della prudenza il conoscerle, non il farle; essendo che il farle appartiene alle altre virtù, (...). 114. Zanotti iv, c. vi, no (Virtù intellettuali, § 26): Nè per questo, che siasi detto, essere la prudenza un abito di co¬ noscere, non di operare, vuoisi conchiudere, che la prudenza non sia una virtù pratica; che anzi Aristotele la definisce s£iv npaxzixijv, abito pratico; e altrove chiaramente r\ Se (ppóvrjoiCnpaxTixJj. (...) Par certamente, che tutto quello, che appartiene alle azioni da farsi, scorgendole all’ultimo fine, e imponendole talvolta, et ordinan¬ dole, debba dirsi pratico. Ora la prudenza dirige le azioni, mostran¬ do qual sia da farsi, e qual no, e le scorge all’ultimo fine, e le impone talvolta e le ordina, onde anche dicesi da Aristotele èmxaxxixf\; par dunque, che la prudenza debba dirsi virtù pratica. 531