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DISSERTAZIONE SOPRA LA FELICITÀ ec. ed avessero |n| apprese tutte le scienze, che quasi del tutto furon poste da esse in dimenticanza nel momento della loro unione coi corpi. E qui fa d’uopo avvertire che Platone suppo- nea che l’idèe astratte delle cose, come quelle del bello, del buono etc. esistessero ancora fuor dell’anime nostre, e fossero immutabili eterne, e assolutamente necessarie, il che è certa¬ mente ammissibile qualora si considerino queste idèe come esistenti nella mente Divina della qual cosa parlasi assai diffu¬ samente da’ Metafisici nell’ontologìa. Ora considerando Plato¬ ne la bellezza, e grandezza di queste idèe affermò, che l’uomo qualora avesse nel corso di sua vita rettamente operato conse¬ guirebbe dopo morte il bene secondo il suo parere inestimabi¬ le di appressarsi di nuovo all’idèa della bontà, e che conside¬ randola, e come immergendosi nella contemplazione della medesima sarebbe perfettamente felice. Questo genere di ulti¬ mo fine non è certamente ammissibile, giacché se la felicità non fosse posta, che nella contemplazion di un’idèa l’uomo dovrebbe in ogni sua azione tendere a conseguirla eppure tutto l’opposto ci 1121 persuade l’interno testimonio della propria co¬ noscenza. Laonde la contemplazione di queste idèe non può chiamarsi il fine delle operazioni dell’uomo, e per conseguen¬ za la felicità non è posta solamente nella contemplazione so¬ praddetta. Ed infatti come può mai dirsi, che Giulio Cesare al¬ 243