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stessa dignità, volendo accostarsi più che potessero alla natura, la quale non sa e non vuole stare nè sul grave ne sull’attillato quando è stretta dalla passione. E finalmente non voglio dire che se cercherai le Poetiche e Rettoriche antiche o moderne, troverai questa pratica, non solamente concessa nè commendata, ma numerata fra gli accorgimenti necessari al buono scrittore. Lascio tutto questo, e metto mano all’arme fatata dell’esempio. Che cosa pensiamo noi che fosse quell’io che trovianlo in Orazio due volte nell’Ode seconda del quarto libro1, e due nella nona del Epodo2? Parola, anzi grido popolare, che non indeterminatamente l’applauso (come il nostro Viva), o pure la gioia: la quale per essere la più rara e breve delle passioni, è fors’anche la più frenetica; e per questo e per altri molti rispetti, che non si possono dare ad intendere ai pedagoghi, mette la dignità dell’imitazione in grandissimo pericolo.

  1. v. 49, 50.
  2. v. 21, 23.