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VII.
ALLA PRIMAVERA,
o
DELLE FAVOLE ANTICHE.
Per che i celesti danni
Ristori il sole, e per che l’aure inferme
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
De le nubi la grave ombra s’avvalla;
5Credano il petto inerme
Gli augelli al vento, e la diurna luce
Novo d’amor desio nova speranza
Ne’ penetrati boschi e fra le sciolte
Pruine induca a le commosse belve;
10Forse a le stanche e nel dolor sepolte
Umane menti riede
La bella età, cui la sciagura e l’atra
Face del ver consunse
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti