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54 | canto v. |
Che stupido mirò l’ardua palestra,
Nè la palma beata e la corona
D’emula brama il punse. E ne l’Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi
20De le cavalle vincitrici asterse
Tal che le greche insegne e ’l greco acciaro
Guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi
Ne le pallide torme; onde sonaro
Di sconsolato grido
25Gli alti gorghi d’Eufrate e ’l servo lido.
Vano dirai quel che disserra e scote
De la virtù nativa
Le riposte faville? e che del fioco
Spirto vital ne gli egri petti avviva
30Il caduco fervor? Le meste rote
Da poi che Febo instiga, altro che gioco
Son le cure mortali? ed è men vano
De la menzogna il vero? A noi di lieti
Inganni e di felici ombre soccorse
35Natura istessa; e là dove l’insano
Costume a i forti errori esca non porse,
Ne gli ozi infermi e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.
Tempo forse verrà ch’a le ruine