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38 canto iii.

De la fortuna, al cui sdegno e dolore
Fu più l’averno che la terra amico.
65L’averno: e qual non è parte migliore
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Susurravano ancora
Dal tocco di tua destra, o sfortunato
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
70L’italo canto. E pur mèn grava e morde
Il mal che n’addolora
Del tedio che n’affoga. Oh te beato,
A cui fu vita il pianto. A noi le fasce
Cinse il fastidio; a noi presso la culla
75Immoto siede, e su la tomba, il nulla.

     Ma tua vita era allor con gli astri e ’l mare,
Ligure ardita prole,
Quand’oltre a le colonne, ed oltre a i liti
Cui strider parve in seno a l’onda il sole,1
80Novo di prore incarco a gl’infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del Sol caduto, e ’l giorno
Che nasce allor ch’a i nostri è giunto al fondo;
E rotto di natura ogni contrasto,
85Ignota immensa terra al tuo viaggio
Fu gloria, e del ritorno