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canto ii. 31

Dimmi: d’Italia tua morto è l’amore?
Dì: quella fiamma che t’accese, è spenta?
Dì: nè più mai rinverdirà quel mirto
Ch’alleggiò per gran tempo il nostro male?
185E saran tue fatiche a l’aria sparte?
Nè sorgerà mai tale
Che ti rassembri in qualsivoglia parte?

     In eterno perì la gloria nostra?
E non d’Italia il pianto e non lo scorno
190Ebbe verun confine?
Io mentre viva andrò sclamando intorno,
Volgiti a gli avi tuoi, guasto legnaggio;
Mira queste ruine
E le carte e le tele e i marmi e i templi;
195Pensa qual terra premi; e se destarti
Non può la luce di cotanti esempli,
Che stai? lévati e parti.
Non si conviene a sì corrotta usanza
Questa di prodi ingegni altrice e scola:
200Se d’infingardi è stanza,
Meglio l’è rimaner vedova e sola.