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canto vii. 123


E de l’eterne cose; a che prodotta,
A che d’affanni e di miserie carca
L’umana stirpe; a quale ultimo intento
145Lei spinga il fato e la natura; a cui
Tanto nostro dolor diletti o giovi:
Con quali ordini e leggi a che si volva
Questo arcano universo; il qual di lode
Colmano i saggi, io d’ammirar son pago.
     150In questo specolar gli ozi traendo
Verrò; chè conosciuto, ancor che tristo,
Ha suoi diletti il vero. E se del vero
Ragionando talor, fieno a le genti
O mal grati i miei detti o non intesi,
155Non mi dorrò, chè già del tutto il vago
Desio di Gloria antico in me fia spento:
Vana Diva non pur, ma di Fortuna
E del Fato e d’Amor, Diva più cieca.