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dice e non può dir altro, se non che tutto il bello, il piacevole e il grande è falsitá e nulla. Ma, per non dividerci da Teofrasto, i piú degli antichi erano incapaci di quel sentimento doloroso e profondo che l’animava. «Teofrasto è malmenato nei libri e nelle scuole di tutti i filosofi per aver lodato nel Callistene quel motto: ’ non la sapienza ma la fortuna è signora della vita Negano che un filosofo dicesse mai cosa piú fiacca di questa». Sono parole di Cicerone, il quale in altro luogo scrive che Teofrasto nel libro Della vita beata dava molto alla fortuna, cioè a dire che la sentenziava per cosa di gran momento in riguardo alla felicitá. E quivi a poco soggiunge: «A ogni modo serviamoci di Teofrasto in molti punti, salvo che s’attribuisca alla virtú piú consistenza e piú gagliardia che questi non le diede». Vegga esso Cicerone quello che se le possa dare. Forse per questi ragionamenti alcuno conchiuderá che Teofrasto avesse a far professione di poco affezionato agli errori naturali, anzi che dal canto suo dovesse provvedere cogl’insegnamenti e colle azioni di sequestrarli dall’uso domestico e pubblico della vita, e di stringere gli effetti e la signoria dell’immaginativa, allargando i termini alla ragione. Ma s’ha da sapere che Teofrasto fu ed operò tutto il contrario. In quanto alle azioni, abbiamo in Plutarco nel libro Contro Colote, che il nostro filosofo liberò due volte la sua patria dalla tirannide. In quanto agl’insegnamenti, Cicerone dice che Teofrasto in un libro che scrisse delle ricchezze, si distendeva molto a lodare la magnificenza e l’apparato degli spettacoli e delle feste popolari, e metteva nella facoltá di queste spese molta parte dell’utilitá che proviene dalle ricchezze. La qual sentenza è biasimata da Cicerone e data per assurda. Io non voglio contendere con Cicerone sopra questa materia, se bene io so e vedo ch’egli si poteva ingannare e tastar le cose con quella filosofia che penetra poco addentro. Ma l’ho per uomo cosi ricco d’ogni virtú privata e civile, che non mi basta l’animo d’accusarlo che non conoscesse i maggiori incitamenti e i piú fermi propugnacoli della virtú che s’abbiano a questo mondo, voglio