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che se fará cosi, sbaglierá, non saprá vivere, e non potrá né conseguirá mai nulla? Perché dovrá l’uomo leggere i libri per istruirsi e per imparare, e nel tempo stesso, conoscere ad essere disposto di dover fare tutto il contrario precisamente di quel ch’essi libri gli prescrivono? Fatto sta che non per altro il mio libro è prevaluto nell’opinione degli uomini al tuo, a quello del Fénelon, e a tutti i libri politici, se non perch’io dico nudamente quelle cose che son vere, che si fanno, che si faranno sempre, e che vanno fatte; e gli altri dicono tutto l’opposto, benché sappiano e vedano anch’essi niente meno di me, che le cose stanno come le dico io. Sicché i libri loro sono come quelli de’ sofisti: tante esercitazioni scolastiche, inutili alla vita, e al fine che si propongono cioè d’istruirla; perché composti di precetti o di sentenze scientemente e volutamente false, non praticate né potute praticare da chi le scrive, dannosissime a chi le praticasse, ma realmente non praticate neppure da chi le legge, s’egli non è un giovane inesperto, o un dappoco. Laddove il mio libro è e sará sempre il codice del vero ed unico e infallibile e universal modo di vivere, e perciò sempre celebratissimo, piú per l’ardire, o piuttosto la coerenza da me usata nello scriverlo, che perché ci volesse molto a pensare e dir quello che tutti sanno, tutti vedono, e tutti fanno. yuel che mi resta a desiderare pel ben degli uomini, e la vera utilitá specialmente de’ giovani, si è che quello ch’io ho insegnato ai principi s’applichi alla vita privata, aggiungendo quello che bisognasse. E cosi s’avesse finalmente un codice del saper vivere, una regola vera «della condotta da tenersi in societá», ben diversa da quella dettata ultimamente dal Knigge, e tanto celebrata dai tedeschi, nessuno de’ quali vive né visse mai a quel modo. L’altro errore in cui cadono gli scrittori, si è che se anche talvolta hanno qualche precetto o sentimento vero, lo dicono col linguaggio dell’arte falsa, cioè della morale. Che questo sia un puro linguaggio di convenzione, oramai sarebbe peggio che cieco chi non lo vedesse. Per es. «virtú» significa •< ipocrisia», ovvero «dappocaggine», — «ragione» ; «diritto» e simili significano «forza»; «bene* «felicitá» ecc. «dei sudditi» significa «volontá», «capriccio», «vantaggio» ecc. «del sovrano», Cose tanto antiche e note che fa vergogna e noia a ricordarle. Ora io non so perché, volendo esser utile piú che si possa, ed avendo il linguaggio chiaro ch’ho usato io, si voglia piuttosto