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setoluto, cosi prova e sente in sé stesso vivacemente gli effetti di quell’asprezza eh’ io diceva. Ma noi come prima diamo di piglio a un libro, per esempio latino o greco, ci mettiamo naturalmente in animo di dover fare un sentiero non dico nuovo ma insolitissimo a petto al consueto, vale a dire alla lingua nostra propria ; e leggendo, non ci possono dar troppo nell’occhio la raritá dove tutto è in certo modo raro; né ci può far maraviglia, per una strada che non siamo usati di frequentare piú che tanto, rabbatterci in qualche oggetto, cioè in qualche vocabolo o modo, nuovo o poco noto; né questi vocaboli o modi ci sanno punto d’aspro, perché di quell’asprezza di cui parliamo non è mica ingenita e nativa a quelle tali parole o frasi, ma sta solamente nell’esser queste o vecchie o comunque inusitate; ora dell’inusitato accorgendoci noi poco o niente, e quel piú o meno d’antico che può avere una voce o un modo non facendo quasi nessuna differenza di sapore in un libro antichissimo tutto, ci avviene caso che questo sia veramente aspro, come a chi palpi quella roba ruvida ch’io diceva con mano inguantata, il quale sa bene che il panno punge perciocché vede com’egli è irsuto, non però si sente pungere, per molto eh’ ei lo tasti. Io so che la mia sperienza non fa forza, so che altri m’opporrá i dotti e gli eruditi, e vorrá sgomentarmi coll’apparato della fama e della dignitá, e sostenere che l’uomo possa coll’ingegno e collo studio lungo e continuo e diligente farsi il palato latino o greco di maniera che vaglia a sentire efficacemente e distintamente le diverse qualitá degli stili in questa o in quella lingua, non altrimenti che faccia nella propria: ma io allora crederò che questo possa essere, quando vedrò un dotto favellare ordinariamente in latino o in greco o in altro tale idioma, e favellare com’è credibile che favellassero i latini o i greci, almeno quanto alla dizione, e favellare non con gente che non l’intenda o non gli risponda o gli risponda in altra lingua o ciancicando il latino o il greco, ma con gente che parli quella tal favella né piú né meno come lui, essendo di primissima necessitá, per arrivare a dimesticarsi una lingua nella maniera che ho detto, il sentirla favellare, e non a caso o di quando in quando, ma regolarmente e tutto giorno; e saprò ch’egli nel pensare adoperi il latino o il greco non artatamente né a posta, ma per forza d’abito sbadatamente e per lo piú senz’avvedersene. E finattantoché non saprò né vedrò queste cose; e finattantoch’esse per lo contrario si stimeranno e saranno impossibili, io mi riderò di