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4.

ORAZIONE AREOPAGITICA

Io stimo che molti di voi si maraviglino, e non intendano che pensiero sia stato il mio di proporvi a deliberare della salute pubblica, non altrimenti che se la cittá fosse in pericolo o che il suo stato barcollasse, e quasi che ella non avesse per lo contrario piú che dugento galee, pace nel suo territorio la signoria del mare, non pochi confederati i quali, al bisogno, ci soccorrerebbero prontamente, e molti piú che pagano la loro parte delle contribuzioni e fanno ogni nostro comando. Per le quali cose parrebbe in veritá che a voi si convenisse stare coll’animo sicuro, come lontani da ogni pericolo, e che ai vostri nemici piuttosto si appartenesse di temere e di consultare della salute propria. Ed io so bene che voi, discorrendo tra voi medesimi in questa forma, vi ridete della mia proposta, e sperate di dovere colle vostre forze e facoltá presenti, ridurre e tenere alla vostra divozione tutta la Grecia. Ora da queste considerazioni medesime io prendo materia di temere. Perciocché io veggo quelle cittá che si pensano essere in migliore stato, peggio consigliarsi, e quelle che piú si confidano e piú baldanza hanno, essere sottoposte a maggior numero di pericoli. La cagione è che nessun bene e nessun male interviene agli uomini da sé solo; ma colla ricchezza e colla potenza è congiunta, e tien loro dietro, la follia, e con questa insieme la petulanza; colla povertá e colla bassezza dello stato vengono la costumatezza e la moderazione. Tanto che malagevolmente si può conoscere quale delle due fortune debba l’uomo piú volentieri lasciare ai figliuoli. Imperocché noi veggiamo da