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106 | moralisti greci |
alle necessitá naturali, alle carnalitá, è segno di piccola indole. Queste cose si deono fare come per transito, e tutto lo studio si dèe porre intorno alla mente.
[XLII]
Qualora alcuno o con parole o con fatti ti offende, sovvengati che egli opera ovvero parla in quel cotal modo, stimando che di cosí fare ovvero parlare gli appartenga e stia bene. Ora è di necessitá che egli si governi, non conforme a quello che pare a te, ma secondo che pare a lui. Sicché se a lui pare il falso, esso si ha il danno e non altri, cioè a dire, il danno è di colui che s’inganna. Pigliamo una veritá di quelle che chiaman connesse: se uno la si crederá falsa, non la veritá, ma questo tale, ingannandosi, porterá il danno. Per sí fatta guisa discorrendo, tu comporterai mansuetamente colui che ti oltraggerá; perocché ogni volta tu hai da dire: ‘cosí gli è paruto che convenisse’.
[XLI1I]
Ogni cosa ha, per maniera di dire, due manichi: a pigliarla dall’uno, ella si sopporta, dall’altro no. Se il fratello ti fará ingiuria, non pigliar la cosa per modo che tu dica: ‘egli mi fa ingiuria’, perché questo è quel manico dal quale se tu la prendi, ella non si porta; ma pigliala da quest’altra banda, e di’: ‘mio fratello, nutrito e cresciuto meco insieme’; e tu la piglierai da quel lato dal quale ella si può portare.
[XLIV]
Queste cotali argomentazioni non reggono: ‘io sono piú ricco di te, dunque io sono da piú di te; io piú letterato di te, dunque io sono da piú’. Queste altre reggerebbero bene: ‘io sono piú ricco di te, dunque la mia roba è da piú che la tua; io piú letterato di te, dunque la mia dicitura val piú che la tua’. Ma tu non sei né roba né dicitura.