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il parini - capitolo iv 93


tutto favola. Le quali cose il giovane crede sempre, quando anche sappia il contrario, finché l’esperienza sua propria non sopravviene al sapere; ma elle sono credute difficilmente dopo la trista disciplina dell’uso pratico, massime dove l’esperienza è congiunta coll’abito dello speculare e colla dottrina.

Da questo discorso seguirebbe che generalmente i giovani fossero migliori giudici delle opere indirizzate a destare affetti ed immagini, che non sono gli uomini maturi o vecchi. Ma da altro canto si vede che i giovani, non accostumati alla lettura, cercano in quella un diletto piú che umano, infinito, e di qualitá impossibili; e tale non ve ne trovando, disprezzano gli scrittori: il che anco in altre etá, per simili cause, avviene alcune volte agl’illetterati. Quei giovani poi, che sono dediti alle lettere, antepongono facilmente, come nello scrivere, cosí nel giudicare gli scritti altrui, l’eccessivo al moderato, il superbo o il vezzoso dei modi e degli ornamenti al semplice e al naturale, e le bellezze fallaci alle vere; parte per la poca esperienza, parte per l’impeto dell’etá. Onde i giovani, i quali senza alcun fallo sono la parte degli uomini piú disposta a lodare quello che loro apparisce buono, come piú veraci e candidi, rade volte sono atti a gustare la matura e compiuta bontá delle opere letterarie. Col progresso degli anni, cresce quell’attitudine che vien dall’arte, e decresce la naturale. Nondimeno ambedue sono necessarie all’effetto.

Chiunque poi vive in cittá grande, per molto che egli sia da natura caldo e svegliato di cuore e d’immaginativa, io non so (eccetto se, ad esempio tuo, non trapassa in solitudine il piú del tempo) come possa mai ricevere dalle bellezze o della natura o delle lettere, alcun sentimento tenero o generoso, alcun’immagine sublime o leggiadra. Perciocché poche cose sono tanto contrarie a quello stato dell’animo che ci fa capaci di tali diletti, quanto la conversazione di questi uomini, lo strepito di questi luoghi, lo spettacolo della magnificenza vana, della leggerezza delle menti, della falsitá perpetua, delle cure misere, e dell’ozio piú misero che vi regnano. Quanto al volgo dei letterati, sto per dire che quello delle cittá grandi sappia