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dialogo della natura e di un islandese |
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effetti in quanto a ciascheduna persona, e la piú contraria alla
durabilitá della stessa vita. Ma in qualunque modo, astenendomi
quasi sempre e totalmente da ogni diletto, io non ho potuto
fare di non incorrere in molte e diverse malattie: delle quali
alcune mi hanno posto in pericolo della morte; altre di perdere
l’uso di qualche membro, o di condurre perpetuamente una
vita piú misera che la passata; e tutte per piú giorni o mesi
mi hanno oppresso il corpo e l’animo con mille stenti e mille
dolori. E certo, benché ciascuno di noi sperimenti nel tempo
delle infermitá, mali per lui nuovi o disusati, e infelicitá maggiore
che egli non suole (come se la vita umana non fosse
bastevolmente misera per l’ordinario); tu non hai dato all’uomo,
per compensamelo, alcuni tempi di sanitá soprabbondante e
inusitata, la quale gli sia cagione di qualche diletto straordinario
per qualitá e per grandezza. Ne’ paesi coperti per lo piú
di nevi, io sono stato per accecare: come interviene ordinariamente
ai lapponi nella loro patria. Dal sole e dall’aria,
cose vitali, anzi necessarie alla nostra vita, e però da non
potersi fuggire, siamo ingiuriati di continuo: da questa colla
umiditá, colla rigidezza, e con altre disposizioni; da quello
col calore, e colla stessa luce: tanto che l’uomo non può mai
senza qualche maggiore o minore incomoditá o danno, starsene
esposto all’una o all’altro di loro. In fine, io non mi ricordo
aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena;
laddove io non posso numerare quelli che ho consumati senza
pure un’ombra di godimento: mi avveggo che tanto ci è destinato
e necessario il patire, quanto il non godere; tanto impossibile
il viver quieto in qual si sia modo, quanto il vivere
inquieto senza miseria: e mi risolvo a conchiudere che tu sei
nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte
le opere tue; che ora c’insidii ora ci minacci ora ci assalti
ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi
o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice
della tua propria famiglia, de’ tuoi figliuoli e, per dir cosí,
del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto rimango privo
di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini finiscono