Pagina:Leopardi, Giacomo – Operette morali, 1928 – BEIC 1857808.djvu/78

72 operette morali


come l’aria in questi, cosí la noia penetra in quelli da ogni parte, e li riempie. Veramente per la noia non credo si debba intendere altro che il desiderio puro della felicitá; non soddisfatto dal piacere, e non offeso apertamente dal dispiacere. Il qual desiderio, come dicevamo poco innanzi, non è mai soddisfatto; e il piacere propriamente non si trova. Sicché la vita umana, per modo di dire, è composta e intessuta, parte di dolore, parte di noia; dall’una delle quali passioni non ha riposo, se non cadendo nell’altra. E questo non è tuo destino particolare, ma comune di tutti gli uomini.

Tasso. Che rimedio potrebbe giovare contro la noia?

Genio. Il sonno, l’oppio, e il dolore. E questo è il piú potente di tutti: perché l’uomo mentre patisce, non si annoia per niuna maniera.

Tasso. In cambio di cotesta medicina, io mi contento di annoiarmi tutta la vita. Ma pure la varietá delle azioni, delle occupazioni e dei sentimenti, se bene non ci libera dalla noia, perché non ci reca diletto vero, contuttociò la solleva ed alleggerisce. Laddove in questa prigionia, separato dal commercio umano, toltomi eziandio lo scrivere, ridotto a notare per passatempo i tocchi dell’oriuolo, annoverare i correnti, le fessure e i tarli del palco, considerare il mattonato del pavimento, trastullarmi colle farfalle e coi moscherini che vanno attorno alla stanza, condurre quasi tutte le ore a un modo; io non ho cosa che mi scemi in alcuna parte il carico della noia.

Genio. Dimmi: quanto tempo ha che tu sei ridotto a cotesta forma di vita?

Tasso. Piú settimane, come tu sai.

Genio. Non conosci tu, dal primo giorno al presente, alcuna diversitá nel fastidio che ella ti reca?

Tasso. Certo che io lo provava maggiore a principio: perché di mano in mano la mente, non occupata da altro e non isvagata, mi si viene accostumando a conversare seco medesima assai piú e con maggior sollazzo di prima, e acquistando un abito e una virtú di favellare in se stessa, anzi di cicalare, tale, che parecchie volte mi pare quasi avere una compagnia