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operette morali


Cosí dopo aver seguito con sicurezza la volontá del Leopardi dando i Canti e le Operette, questa raccolta che, quali che siano i criteri di chi la cura, non può sottrarsi alle esigenze del tempo in cui esce, dará, ordinata press’a poco cronologicamente, tutta la serie degli scritti ch’egli pubblicò o preparò per la stampa.

II

Fino dal 27 luglio 1821, il Leopardi notava nel suo Zibaldone (p. 1393. III, 133):

«A volere che il ridicolo primieramente giovi, secondariamente piaccia vivamente e durevolmente, cioè che la sua continuazione non annoi, deve cadere sopra qualcosa di serio e d’importante. Se il ridicolo cade sopra bagattelle e sopra, dirò quasi, lo stesso ridicolo, oltre che nulla giova, poco diletta e presto annoia. Quanto piú la materia del ridicolo è seria, quanto piú importa, tanto il ridicolo è piú dilettevole, anche per il contrasto ecc.

Ne’ miei dialoghi io cercherò di portar la commedia a quello che finora è stato proprio della tragedia, cioè i vizi de’ grandi, i principi fondamentali delle calamitá e della miseria umana, gli assurdi della politica, le sconvenienze appartenenti alla morale universale e alla filosofia, l’andamento e lo spirito generale del secolo, la somma delle cose, della societá, della civiltá presente, le disgrazie e le rivoluzioni del mondo, i vizi e le infamie non degli uomini, ma dell’uomo, lo stato delle nazioni ecc.»

E si veda nelle Memorie della mia vita il resto, per rendersi conto dei fieri e nobili propositi del giovane. Quasi nello stesso tempo, o a ogni modo, assai poco di poi, tra altri disegni di opere (un Elogio o Vita del generale polacco Cosciusco, — un romanzo sul gusto della Ciropedia, — Della condizione presente delle lettere italiane, — un poema didascalico sopra le selve ecc.: dei quali si dirá a suo luogo) aveva notato:


«Dialoghi satirici alla maniera di Luciano; ma tolti i personaggi e il ridicolo dai costumi presenti o moderni, e non tanto tra’ morti, giacché di Dialoghi de’ morti c’è giá molta abbondanza; quanto tra personaggi che si fingano vivi, ed anche, volendo, fra animali, come sento che abbia fatto il Monti, imitatore di Luciano anche nel Dialogo della Biblioteca italiana e in quelli che inserisce nella sua opera della lingua, insomma piccole commedie e