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dalla nostra ci sia tanta bontá e perfezione quanta in essa nostra, perché la perfezione essendo relativa e particolare, noi la crediamo assoluta e norma universale;

2. perché non ci possiamo mai porre nei piedi e nella mente di un’altra specie (come nessun bruto), per concepire le idee che essa ha del buono, del bello, del perfetto, e misurare quella specie secondo queste idee, le quali sono diversissime dalle nostre, e non entrano nella capacitá della nostra natura e nel genere della nostra facoltá né intellettiva né immaginativa né ragionatrice né concettiva ecc. ecc.

17 gennaio 1829, Z. 4439 (VII, 372):

N. N. legge di rado libri moderni; perché, dice, io veggo che gli antichi a fare un libro mettevano dieci, venti, trent’anni; e i moderni un mese o due. Ma per leggere, tanto tempo ci vuole a quel libro ch’è opera di trent’anni quanto a quello ch’è opera di trenta giorni. E la vita, da altra parte, è cortissima alla quantitá de’ libri che si trovano.

DIALOGO D’UN LETTORE DI UMANITÀ E DI SALLUSTIO

14 febbraio 1821, Z. 606 (II, 88-89)

:

Cum proelium inibitis (moneo vos ut) memineritis vos divitias, decus, gloriavi, praeterea libertatem atque patriam in dextris vestris portare. Parole che Sallustio (Bellum Catilinarium, c. 58, alii 61) mette in bocca a Catilina, nell’esortazione ai soldati prima della battaglia. Osservate la differenza dei tempi. Questa è quella figura rettorica che chiamano «gradazione». Volendo andar sempre crescendo, Sallustio mette prima le ricchezze, poi l’onore, poi la gloria, poi la libertá e finalmente la patria, come la somma e piú cara di tutte le cose. Oggidí volendo esortare un’armata in simili circostanze, ed usare quella figura, si disporrebbero le parole al rovescio; prima la patria che nessuno ha, ed è un puro nome; poi la libertá, che il piú delle persone amerebbe, anzi ama per natura, ma non è avvezzo neanche a sognarla, molto meno a darsene cura; poi la gloria che piace all’amor proprio, ma finalmente è un vano bene; poi l’onore, del quale si suole aver molta