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appendice 319


DIALOGO D’UN VENDITORE D’ALMANACCHI
E DI UN PASSEGGERE

Firenze, 1 luglio 1827, Z. 4283-4 (VII, 229-30):

Che la vita nostra, per sentimento di ciascuno, sia composta di piú assai dolore che piacere, male che bene, si dimostra per questa esperienza. Io ho dimandato a parecchi se sarebbero stati contenti di tornar a rifare la vita passata, con patto di rifarla né piú né meno quale la prima volta. L’ho dimandato anche sovente a me stesso. Quanto al tornare indietro a vivere, ed io e tutti gli altri sarebbero stati contentissimi; ma con questo patto, nessuno; e piuttosto che accettarlo tutti (e cosí io a me stesso) mi hanno risposto che avrebbero rinunziato a quel ritorno alla prima etá, che per se medesimo sarebbe pur tanto gradito a tutti gli uomini. Per tornare alla fanciullezza, avrebbero voluto rimettersi ciecamente alla fortuna circa la lor vita da rifarsi, e ignorarne il modo, come s’ignora quel della vita che ci resta da fare. Che vuol dir questo? Vuol dire che nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiam provato piú male che bene; e che, se noi ci contentiamo e anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è che per l’ignoranza del futuro e per una illusione della speranza, senza la quale illusione e ignoranza, non vorremmo piú vivere, come non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti.

DIALOGO DI TRISTANO E DI UN AMICO

Firenze, 23 maggio 1832, Z. 4525 (VII, 462):

Gli uomini verso la vita sono come i mariti in Italia verso le mogli: bisognosi di crederle fedeli, benché sappiano il contrario. Cosí chi dèe vivere in un paese ha bisogno di crederlo bello e buono; cosí gli uomini di credere la vita una bella cosa. Ridicoli agli occhi miei come un marito becco e tenero della sua moglie.

E il 16 settembre (ivi):

Due veritá che gli uomini non crederanno mai: l’una di non saper nulla, l’altra di non esser nulla. Aggiungi la terza che ha