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appendice 311

mente, dall’immaginativa e dal cuor nostro tutte le illusioni che ci avrebbero fatti e ci faceano bruti, questa sola ne conserva, questa sola non potrá mai cancellare se non con un intiero dubbio (ch’è tutt’uno e ragionevolmente deve produrre in tutta la vita umana gli stessi effetti né piú né meno che la certezza) questa sola che mette il colino alla disperata disperazione dell’infelice. La nostra sventura, il nostro fato ci fa miseri, ma non ci toglie, anzi ci lascia nelle mani il finir la miseria nostra quando ci piaccia. L’idea della religione ce lo vieta inesorabilmente e irrimediabilmente; perché, nata una volta quest’idea nella mente nostra, come accertarsí che sia falsa? e anche nel menomo dubbio, come arrischiare l’infinito contro il finito? Non è mai paragonabile la sproporzione che è tra il dubbio e il certo con quella che è tra l’infinito e il finito, ancorché questo certo, e quello quanto si voglia dubbio. Cosí che, siccome l’infelicitá per quanto sia grave nondimeno si misura principalmente dalia durata, essendo sempre piccola cosa quella che può durare, volendo, un momento solo, e di piú servendo infinitamente ad alleggerire qualunque male il saper certo ch’è in nostra mano il sottrarcene ogni volta che ci piaccia; cosí possiamo dire che oggi, in ultima analisi, la cagione dell’infelicitá dell’uomo misero, ma non istupido né codardo, è l’idea della religione; e che questa, se non è vera, è finalmente il piú gran male dell’uomo e il sommo danno che gli abbiano fatto le sue disgraziate ricerche e ragionamenti e meditazioni o i suoi pregiudizi.

5 luglio 1822, Z. 2549 sgg. (IV, 302):

La quistíone se il suicidio giovi o non giovi all’uomo (al che si riduce il sapere se sia o no ragionevole e preeleggibile) si ristringe in questi puri termini. Qual delle due cose è la migliore, il patire o il non patire? Quanto al piacere, è cosa certa immutabile e perpetua che l’uomo, in qualunque condizione della vita, anche felicissima secondo il linguaggio comune, non lo può provare, giacché come ho dimostrato altrove, il piacere è sempre futuro e non mai presente. E come, per conseguenza, ciascun uomo dev’esser fisicamente certo di non provar mai piacere alcuno in sua vita, cosí anche ciascuno dev’esser certo di non passar giorno senza patimento; e la massima parte degli uomini è certa di non passar giorno senza patimenti molti e gravi, ed alcuni son certi di non passarne senza lunghissimi e gravissimi (che sono i cosí