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302 | operette morali |
Cap. VII, 30 luglio 1822, Z. 2588 (IV, 320):
A un giovane il quale, essendo innamorato degli studi, diceva che della maniera di vivere e della scienza pratica degli uomini se n’imparano cento carte il giorno, rispose N. N.: — «Ma il libro (ma egli è un libro) è da quindici o venti milioni di carte».
17 aprile 1824, Z. 406X (VI, 447):
A un giovane sventatalo che, per iscusarsi di molti errori e cattive riuscite e vergogne e male figure fatte nella societá e nel mondo, diceva e ripeteva sovente che la vita è una commedia, replicò un giorno N. N.: — Anche nella commedia è meglio essere applaudito che fischiato, e un commediante che non sappia fare il suo mestiere (professione) all’ultimo si muor di fame.
Al paragrafo seguente una postilla autografa richiama:
Orazio, Ode, 2 a fine, del lib. III. Plutarco, De sera numinis vindicta, init. circa.
16 agosto 1820, Z. 212 (I, 314):
Domandava una donna a un viaggiatore (un cortigiano), avendogli a dire una cosa poco piacevole: — Volete ch’io vi parli sinceramente?
— Rispose il viaggiatore: — Anzi, ve ne prego. Noi altri viaggiatori cerchiamo le raritá.
Z. 55 (I. 163):
A. S’io fossi ricco, ti vorrei donar tesori.
B. Oibò, non vorrei che se ne privasse per me. Prego Dio che non la faccia mai ricca.
Z. 1 (I, 76):
Una dama vecchia, avendo chiesto a un giovane di leggere alcuni suoi versi pieni di parole antiche, e avutili, poco dopo rendendoglieli disse che non gl’intendeva, perché quelle parole non s’usavano al tempo suo. Rispose il giovane: — Anzi, credea che s’usassero, perché sono molto antiche. —