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286 operette morali


18 febbraio 1821, Z. 876 (II, 126):

Non siamo dunque nati fuorché per sentire qual felicitá sarebbe se non fossimo nati?

Cap. III.

8 gennaio 1821, Z. 479 (II, 15):

Il veder morire una persona amata è molto meno lacerante che il vederla deperire e trasformarsi nel corpo e nell’animo da malattia (o anche da altra cagione). Perché? Perché, nel primo caso, le illusioni restano; nel secondo svaniscono e vi sono interamente annullate e strappate a viva forza. La persona amata, dopo la sua morte, sussiste ancora tal qual era, e cosí amabile come prima nella nostra immaginazione. Ma nell’altro caso la persona amata si perde affatto; sottentra un’altra persona, e quella di prima, quella persona amabile e cara, non può piú sussistere neanche per nessuna forza d’illusione, perché la presenza della realtá e di quella stessa persona trasformata per malattia cronica, pazzia, corruttela di costumi, ecc. ecc. ci disinganna crudelmente; e la perdita dell’oggetto amato non è risarcita neppure dall’immaginazione, anzi neanche dalla disperazione, o dal riposo sopra lo stesso eccesso dal dolore, come nel caso di morte. Ma questa perdita è tale che il pensiero ed il sentimento non vi si può adagiar sopra in nessuna maniera. Da ogni lato ella presenta acerbissime punte.

15 luglio 1821, Z. 1329 (III, 92):

Si suol dire: — Se il tale incomodo, ecc. ecc. fosse durevole, non sarebbe sopportabile. Anzi si sopporterebbe molto meglio, mediante l’assuefazione e il tempo. All’opposto, diciamo frequentemente: — Il tal piacere, ecc. sarebbe stato grandissimo, se avesse durato. Anzi, durando, non sarebbe stato piú piacere.

21 luglio 1821, Z. 1364 (III, 115):

Sopravvenendo un mal minore a un maggiore, o viceversa, sogliamo dire: — Se potessi liberarmi, ovvero, se non mi travagliasse questo male cosí grave, terrei per un nulla questo leggero. E accadrebbe in veritá l’opposto, che ci parrebbe maggiore che or non ci pare.