e il punto o lo spazio dell’addormentarsi definitivamente, sebbene impercettibile, sono dilettevoli. Questo quando anche la cagione del sonno, come il languore, il travaglio, la malattia, la semplice debolezza non siano dilettevoli, anzi l’opposto; e però i momenti piú lontani dal sonno siano penosi. Anzi, anche il letargo proveniente da infermitá anche mortale, è dilettevole. Che il torpore sia dilettevole l’ho notato giá in questi pensieri nella Teoria del piacere, e assegnatane la ragione. Credo che su questo fondamento il napoletano Cirillo abbia opinato che la morte abbia un non so che di dilettevole. Nel che sono interamente con lui e non dubito che l’uomo (e qualunque animale) non provi un certo conforto e un tal quale piacere nella morte. Non giá che le cagioni di lei, e perciò i momenti piú lontani da lei siano dilettevoli; ma si bene i momenti che la precedono immediatamente e quello stesso punto o spazio impercettibile e insensibile in cui ella consiste. E ciò in qualunque malattia, anche nelle acutissime, nelle quali il Buffon pare che convenga che la morte possa esser dolorosa. Anzi, il torpore della morte dev’esser tanto piú dilettevole quanto maggiori sono le pene che lo precedono, e da cui esso, per conseguenza, ci libera. Quanto alle malattie dove l’uomo si estingue appoco appoco e con piena conoscenza fino all’ultimo, è certo che non v’è momento cosí immediatamente vicino alla morte dove l’uomo, anche il meno illuso, non si prometta un’ora almeno di vita, come si dice dei vecchi ecc. E cosí la morte non è mai troppo vicina al pensiero del moribondo, per la solita misericordia della natura1. E però generalmente e sempre, il torpore della morte dev’essere piú grato di quello del sonno, perché succede a molto maggior travaglio. Il qual sonno, come ho detto, non è mai penoso, quando anche sia cagionato da pene, anche da angoscie vive, come da febbre ardente ecc. Io bene spesso, trovandomi in gravi travagli o corporali o morali, ho desiderato non solamente il riposo; ma la mia anima si compiaceva naturalmente nell’idea di una insensibilitá illimitata e perpetua, di un riposo, di una continua inazione dell’anima e del corpo; la qual cosa, desiderata in quei momenti dalla mia natura, mi era nominata
- ↑ Nemo enim est tam senex qui se annum non putet posse vivere. Cicerone, Cato maior, c. 7, fine; e lo dice in proposito dei contadini che seminano, ancorché vecchissimi, per l’anno futuro. (Notato il 2 febbraio 1821).