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appendice | 265 |
che fanno gli uomini o altri animali alla caccia serve immediatamente ai cacciatori, ed è un inconveniente accidentale e una disgrazia per quei poveri animali; ma inconveniente relativo e voluto dalla natura che li ha destinati per cibo ecc. ad altri viventi piú forti.
E proprio mentre cominciava a scrivere il dialogo: 11 maggio 1824, 4087 (VII, 8):
Non è forse cosa che tanto consumi ed abbrevii e renda nel futuro infelice la vita quanto i piaceri. E da altra parte la vita non è fatta che per il piacere; poiché non è fatta se non per la felicitá, la quale consiste nel piacere, e senza di essa è imperfetta la vita, perché manca del suo fine; èd è una continua pena, perch’ella è naturalmente e necessariamente un continuo e non mai interrotto desiderio e bisogno di felicitá, cioè di piacere. Chi mi sa spiegare questa contraddizione in natura?
E ci tornava su il 2 giugno 24, Z. 4099 (VII, 54):
Non si può meglio spiegare l’orribile mistero delle cose e della esistenza universale (vedi il mio Dialogo della Natura e d’un Islandese, massime in fine) che dicendo essere insufficienti ed anche falsi non solo l’estensione, la portata e le forze, ma i principi stessi fondamentali della nostra ragione. Per esempio, quel principio, estirpato il quale cade ogni nostro discorso e ragionamento ed ogni nostra proposizione, e la facoltá stessa di poterne fare e concepire dei veri, dico quel principio: «Non può una cosa insieme essere e non essere» pare assolutamente falso, quando si considerino le contraddizioni palpabili che sono in natura. L’essere effettivamente, e il non potere in alcun modo esser felice, e ciò per impotenza innata e inseparabile dall’esistenza, anzi pure il non poter non essere infelice, sono due veritá tanto ben dimostrate e certe intorno all’uomo e ad ogni essere vivente quanto possa esserlo veritá alcuna secondo i nostri principi e la nostra esperienza.
Or l’essere, unito all’infelicitá ed unitovi necessariamente e per propria essenza, è cosa contraria direttamente a se stessa alla perfezione e al fine proprio, che è la sola felicitá, dannoso a se stesso e suo proprio inimico. Dunque l’essere dei viventi è in contraddizione naturale, essenziale e necessaria con se medesimo. La qual contraddizione apparisce ancora nella essenziale