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218 | operette morali |
è giudice se non la persona stessa, e il giudizio di questa non può fallare.
Tristano. Verissimo. E di piú vi dico francamente, ch’io non mi sottometto alla mia infelicitá, né piego il capo al destino, o vengo seco a patti, come fanno gli altri uomini; e ardisco desiderare la morte, e desiderarla sopra ogni cosa, con tanto ardore e con tanta sinceritá, con quanta credo fermamente che non sia desiderata al mondo se non da pochissimi. Né vi parlerei cosí se non fossi ben certo che, giunta l’ora, il fatto non ismentirá le mie parole; perché quantunque io non vegga ancora alcun esito alla mia vita, pure ho un sentimento dentro, che quasi mi fa sicuro che l’ora ch’io dico non sia lontana. Troppo sono maturo alla morte, troppo mi pare assurdo e incredibile di dovere, cosí morto come sono spiritualmente, cosí conchiusa in me da ogni parte la favola della vita, durare ancora quaranta o cinquant'anni, quanti mi sono minacciati dalla natura. Al solo pensiero di questa cosa, io rabbrividisco. Ma come ci avviene di tutti quei mali che vincono, per cosí dire, la forza immaginativa, cosí questo mi pare un sogno e un’illusione, impossibile a verificarsi. Anzi se qualcuno mi parla di un avvenire lontano come di cosa che mi appartenga, non posso tenermi dal sorridere fra me stesso: tanta confidenza ho che la via che mi resta a compiere non sia lunga. E questo, posso dire, è il solo pensiero che mi sostiene. Libri e studi, che spesso mi maraviglio d’aver tanto amato, disegni di cose grandi, e speranze di gloria e d’immortalitá, sono cose delle quali è anche passato il tempo di ridere. Dei disegni e delle speranze di questo secolo non rido: desidero loro con tutta l’anima ogni miglior successo possibile, e lodo, ammiro ed onoro altamente e sincerissimamente il buon volere; ma non invidio però i posteri, né quelli che hanno ancora a vivere lungamente. In altri tempi ho invidiato gli sciocchi e gli stolti, e quelli che hanno un gran concetto di se medesimi; e volentieri mi sarei cambiato con qualcuno di loro. Oggi non invidio piú né stolti né savi, né grandi né piccoli, né deboli né potenti. Invidio i morti, e