Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
196 | operette morali |
e della piú travagliosa vita ad assicurare l’uomo in sull’ultimo, dalla incertezza del suo stato futuro, e dallo spavento de’ castighi. Cosí per le tue dottrine il timore, superata con infinito intervallo la speranza, è fatto signore dell’uomo; e il frutto di esse dottrine ultimamente è questo che il genere umano, esempio mirabile d’infelicitá in questa vita, si aspetta non che la morte sia fine alle sue miserie, ma di avere a essere, dopo quella, assai piú infelice. Con che tu hai vinto di crudeltá, non pur la natura e il fato, ma ogni tiranno piú fiero, e ogni piú spietato carnefice che fosse al mondo.
Ma con qual barbarie si può paragonare quel tuo decreto, che all’uomo non sia lecito di por fine a’ suoi patimenti, ai dolori, alle angosce, vincendo l’orrore della morte e volontariamente privandosi dello spirito? Certo non ha luogo negli altri animali il desiderio di terminar la vita; perché le infelicitá loro hanno piú stretti confini che le infelicitá dell’uomo: né avrebbe anco luogo il coraggio di estinguerla spontaneamente. Ma se pur tali disposizioni cadessero nella natura dei bruti, nessun impedimento avrebbero essi al poter morire; nessun divieto, nessun dubbio torrebbe loro la facoltá di sottrarsi dai loro mali. Ecco che tu ci rendi anco in questa parte, inferiori alle bestie: e quella libertá che avrebbero i bruti se loro accadesse di usarla; quella che la natura stessa, tanto verso noi avara, non ci ha negata vien manco per tua cagione nell’uomo. In guisa che quel solo genere di viventi che si trova esser capace del desiderio della morte, quello solo non abbia in sua mano il morire. La natura, il fato e la fortuna ci flagellano di continuo sanguinosamente, con istrazio nostro e dolore inestimabile: tu accorri, e ci annodi strettamente le braccia, e incateni i piedi; sicché non ci sia possibile né schermirci né ritrarci indietro dai loro colpi. In vero, quando io considero la grandezza della infelicitá umana, io penso che di quella si debbano piú che veruna altra cosa, incolpare le tue dottrine; e che si convenga agli uomini assai piú dolersi di te che della natura. La quale se bene, a dir vero, non ci destinò altra vita che infelicissima; da altro lato però ci diede