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176 | operette morali |
Eleandro. Perfettibile lo crederò sopra la vostra fede; ma perfetto, che è quel che importa maggiormente, non so quando l’avrò da credere né sopra la fede di chi.
Timandro. Non è giunto ancora alla perfezione, perché gli è mancato tempo; ma non si può dubitare che non vi sia per giungere.
Eleandro. Né io ne dubito. Questi pochi anni che sono corsi dal principio del mondo al presente, non potevano bastare; e non se ne dée far giudizio dell’indole, del destino e della facoltá dell’uomo: oltre che si sono avute altre faccende per le mani. Ma ora non si attende ad altro che a perfezionare la nostra specie.
Timandro. Certo vi si attende con sommo studio in tutto il mondo civile. E considerando la copia e l’efficacia dei mezzi, l’una e l’altra aumentate incredibilmente da poco in qua, si può credere che l’effetto si abbia veramente a conseguire fra piú o men tempo: e questa speranza è di non piccolo giovamento a cagione delle imprese e operazioni utili che ella promuove o partorisce. Però, se fu mai dannoso e riprensibile in alcun tempo, nel presente è dannosissimo e abbominevole l’ostentare cotesta vostra disperazione, e l’inculcare agli uomini la necessitá della loro miseria, la vanitá della vita, l’imbecillitá e piccolezza della loro specie, e la malvagitá della loro natura: il che non può fare altro frutto che prostrarli d’animo; spogliarli della stima di se medesimi, primo fondamento della vita onesta, della utile, della gloriosa; e distòrli dal procurare il proprio bene.
Eleandro. Io vorrei che mi dichiaraste precisamente, se vi pare che quello che io credo e dico intorno all’infelicitá degli uomini, sia vero o falso.
Timandro. Voi riponete mano alla vostra solita arme; e quando io vi confessí che quello che dite è vero, pensate vincere la questione. Ora io vi rispondo che non ogni veritá è da predicare a tutti, né in ogni tempo.
Eleandro. Di grazia, soddisfatemi anche di un’altra domanda. Queste veritá che io dico e non predico, sono nella filosofia, veritá principali, o pure accessorie?