scrivendo e parlando, certe qualitá umane che ciascun sa che
oramai non si trovano in uomo nato, e certi enti razionali o
fantastici, adorati giá lungo tempo addietro, ma ora tenuti
internamente per nulla e da chi gli nomina, e da chi gli ode
a nominare. Che si usino maschere e travestimenti per ingannare
gli altri, o per non essere conosciuti, non mi pare strano:
ma che tutti vadano mascherati con una stessa forma di maschere,
e travestiti a uno stesso modo, senza ingannare l’un l’altro,
e conoscendosi ottimamente tra loro, mi riesce una fanciullaggine.
Cavinsi le maschere, si rimangano coi loro vestiti; non
faranno minori effetti di prima, e staranno piú a loro agio.
Perché pur finalmente, questo finger sempre, ancorché inutile, e
questo sempre rappresentare una persona diversissima dalla
propria, non si può fare senza impaccio e fastidio grande. Se
gli uomini dello stato primitivo, solitario e silvestre, fossero
passati alla civiltá moderna in un tratto e non per gradi; crediamo
noi che si troverebbero nelle lingue i nomi delle cose
dette dianzi, non che nelle nazioni l’uso di ripetergli a ogni
poco e di farvi mille ragionamenti sopra? In veritá quest’uso
mi par come una di quelle cerimonie o pratiche antiche, alienissime
dai costumi presenti, le quali contuttociò si mantengono
per virtú della consuetudine. Ma io, che non mi posso
adattare alle cerimonie, non mi adatto anche a quell’uso; e
scrivo in lingua moderna e non dei tempi troiani. In secondo
luogo: non tanto io cerco mordere ne’ miei scritti la nostra
specie, quanto dolermi del fato. Nessuna cosa credo sia piú
manifesta e palpabile che l’infelicitá necessaria di tutti i
viventi. Se questa infelicitá non è vera, tutto è falso; e lasciamo
pur questo e qualunque altro discorso. Se è vera, perché
non mi ha da essere né pur lecito di dolermene apertamente
e liberamente, e dire: io patisco? Ma se mi dolessi
piangendo (e questa si è la terza causa che mi muove), darei
noia non piccola agli altri e a me stesso, senza alcun frutto.
Ridendo dei nostri mali, trovo qualche conforto; e procuro di
recarne altrui nello stesso modo. Se questo non mi vien fatto,
tengo pure per fermo che il ridere dei nostri mali sia l’unico