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170 | operette morali |
Eleandro. Credete voi che quaranta o cinquant’anni addietro, i filosofi, mormorando degli uomini, dicessero il falso o il vero?
Timandro. Piuttosto e piú spesso il vero che il falso.
Eleandro. Credete che, in questi quaranta o cinquant’anni, la specie umana sia mutata in contrario da quella che era prima?
Timandro. Non credo; ma cotesto non monta nulla al nostro proposito.
Eleandro. Perché non monta? Forse è cresciuta di potenza, o salita di grado; che gli scrittori d’oggi sieno costretti di adularla, o tenuti di riverirla?
Timandro. Cotesti sono scherzi in argomento grave.
Eleandro. Dunque tornando sul sodo, io non ignoro che gli uomini di questo secolo, facendo male ai loro simili secondo la moda antica, si sono pur messi a dirne bene, al contrario del secolo precedente. Ma io, che non fo male a simili né a dissimili, non credo essere obbligato a dir bene degli altri contro coscienza.
Timandro. Voi siete pure obbligato come tutti gli altri uomini, a procurar di giovare alla vostra specie.
Eleandro. Se la mia specie procura di fare il contrario a me, non veggo come mi corra cotesto obbligo che voi dite. Ma ponghiamo che mi corra. Che debbo io fare, se non posso?
Timandro. Non potete, e pochi altri possono, coi fatti. Ma cogli scritti, ben potete giovare, e dovete. E non si giova coi libri che mordono continuamente l’uomo in generale; anzi si nuoce assaissimo.
Eleandro. Consento che non si giovi, e stimo che non si noccia. Ma credete voi che i libri possano giovare alla specie umana?
Timandro. Non solo io, ma tutto il mondo lo crede.
Eleandro. Che libri?
Timandro. Di piú generi; ma specialmente del morale.
Eleandro. Questo non è creduto da tutto il mondo; perché io, fra gli altri, non lo credo; come rispose una donna a Socrate. Se alcun libro morale potesse giovare, io penso che