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DIALOGO

DI TIMANDRO E DI ELEANDRO

Timandro. Io ve lo voglio anzi debbo pur dire liberamente. La sostanza e l’intenzione del vostro scrivere e del vostro parlare, mi paiono molto biasimevoli.

Eleandro. Quando non vi paia tale anche l’operare, io non mi dolgo poi tanto; perché le parole e gli scritti importano poco.

Timandro. Nell’operare, non trovo di che riprendervi. So che non fate bene agli altri per non potere, e veggo che non fate male per non volere. Ma nelle parole e negli scritti, vi credo molto riprensibile; e non vi concedo che oggi queste cose importino poco; perché la nostra vita presente non consiste, si può dire, in altro. Lasciamo le parole per ora, e diciamo degli scritti. Quel continuo biasimare e derider che fate la specie umana, primieramente è fuori di moda.

Eleandro. Anche il mio cervello è fuori di moda. E non è nuovo che i figliuoli vengano simili al padre.

Timandro. Né anche sará nuovo che i vostri libri, come ogni cosa contraria all’uso corrente, abbiano cattiva fortuna.

Eleandro. Poco male. Non per questo andranno cercando pane in sugli usci.

Timandro. Quaranta o cinquant’anni addietro, i filosofi solevano mormorare della specie umana; ma in questo secolo fanno tutto al contrario.