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detti memorabili di f. ottonieri - cap iv 135


rimedio o rifugio che come bene. E perciocché, generalmente parlando, gli uomini di questa e dell’altra specie non sono avuti in pregio, se non se alcuni dopo morte, e quelli del secondo genere vivi, non che morti, sono in poco o niun conto; giudicava potersi affermare in universale che, ai nostri tempi, la stima comune degli uomini non si ottenga in vita con altro modo, che con discostarsi e tramutarsi di gran lunga dall’essere naturale. Oltre di questo, perciocché nei tempi presenti tutta, per dir cosí, la vita civile consiste nelle persone del primo genere, la natura del quale tiene come il mezzo tra quelle de’ due rimanenti; conchiudeva che anche per questa via, come per altre mille, si può conoscere che oggidí l’uso, il maneggio, e la potestá delle cose, stanno quasi totalmente nelle mani della mediocritá.

Distingueva ancora tre stati della vecchiezza, considerata in rispetto alle altre etá dell’uomo. Nei principi delle nazioni, quando di costumi e d’abito, tutte le etá furono giuste e virtuose; e mentre la esperienza e la cognizione degli uomini e della vita non ebbero per proprietá di alienare gli animi dall’onesto e dal retto; la vecchiezza fu venerabile sopra le altre etá: perché colla giustizia e con simili pregi, allora comuni a tutte, concorreva in essa, come è natura che vi si trovi, maggior senno e prudenza che nelle altre. In successo di tempo, per lo contrario, corrotti e pervertiti i costumi, niuna etá fu piú vile ed abbominabile della vecchiezza; inclinata coll’affetto al male piú delle altre, per la piú lunga consuetudine, per la maggior conoscenza e pratica delle cose umane, per gli effetti dell’altrui malvagitá, piú lungamente e in maggior numero sopportati, e per quella freddezza che ella ha da natura; e nel tempo stesso impotente a operarlo, salvo colle calunnie, le frodi, le perfidie, le astuzie, le simulazioni, e in breve con quelle arti che tra le scellerate sono abbiettissime. Ma poiché la corruttela delle nazioni ebbe trapassato ogni termine, e che il disprezzo della rettitudine e della virtú precorse negli uomini l’esperienza e la cognizione del mondo e del tristo vero; anzi, per dir cosí, l’esperienza e la cognizione precorsero l’etá, e