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132 | operette morali |
Ho udito anche riferire come sua, questa sentenza. Noi siamo inclinati e soliti a presupporre in quelli coi quali ci avviene di conversare, molta acutezza e maestria per iscorgere i nostri pregi veri, o che noi c’immaginiamo; e per conoscere la bellezza o qualunque altra virtú d’ogni nostro detto o fatto; come ancora molta profonditá, ed un abito grande di meditare, e molta memoria, per considerare esse virtú ed essi pregi, e tenerli poi sempre a mente: eziandio che in rispetto ad ogni altra cosa, o non iscopriamo in coloro queste tali parti, o non confessiamo tra noi di scoprirvele.
capitolo quarto.
Notava che talora gli uomini irresoluti sono perseverantissimi nei loro propositi, non ostante qualunque difficoltá; e questo per la stessa loro irresolutezza; atteso che a lasciare la deliberazione fatta, converrebbe si risolvessero un’altra volta. Talora sono prontissimi ed efficacissimi nel mettere in opera quello che hanno risoluto: perché temendo essi medesimi d’indursi di momento in momento ad abbandonare il partito preso, e di ritornare in quella travagliosissima perplessitá e sospensione d’animo nella quale furono prima di determinarsi, affrettano la esecuzione e vi adoprano ogni loro forza; stimolati piú dall’ansietá e dall’incertezza di vincere se medesimi, che dal proprio oggetto dell’impresa, e dagli altri ostacoli che essi abbiano a superare per conseguirlo.
Diceva alle volte, ridendo, che le persone assuefatte a comunicare di continuo cogli altri i propri pensieri e sentimenti, esclamano, anco essendo sole, se una mosca le morde, o che si versi loro un vaso, o fugga loro di mano; e che per lo contrario quelle che sono usate di vivere seco stesse e di contenersi nel proprio interno, se anco si sentono cogliere da un’apoplessia, trovandosi pure in presenza d’altri, non aprono bocca.
Stimava che una buona parte degli uomini, antichi e moderni, che sono riputati grandi o straordinari, conseguissero