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detti memorabili di f. ottonieri | 129 |
capitolo terzo.
In proposito di certa disavventura occorsagli, disse: — Il perdere una persona amata, per via di qualche accidente repentino, o per malattia breve e rapida, non è tanto acerbo, quanto è vedersela distruggere a poco a poco (e questo era accaduto a lui) da una infermitá lunga, dalla quale ella non sia prima estinta che mutata di corpo e d’animo, e ridotta giá quasi un’altra da quella di prima. Cosa pienissima di miseria: perocché in tal caso la persona amata non ti si dilegua dinanzi, lasciandoti, in cambio di sé, la immagine che tu ne serbi nell’animo, non meno amabile che fosse per lo passato: ma ti resta in su gli occhi tutta diversa da quella che tu per l’addietro amavi: in modo che tutti gl’inganni dell’amore ti sono strappati violentemente dall’animo; e quando ella poi ti si parte per sempre dalla presenza, quell’immagine prima, che tu avevi di lei nel pensiero, si trova essere scancellata dalla nuova. Così vieni a perdere la persona amata interamente; come quella che non ti può sopravvivere né anche nella immaginativa: la quale, in luogo di alcuna consolazione, non ti porge altro che materia di tristezza. E in fine, queste simili disavventure non lasciano luogo alcuno di riposarsi in sul dolore che recano.
Dolendosi uno di non so qual travaglio, e dicendo: — Se potessi liberarmi da questo, tutti gli altri che ho mi sarebbero leggerissimi a sopportare; — rispose: — Anzi allora ti sarebbero gravi, ora ti sono leggeri. —
Dicendo un altro: — Se questo dolore fosse durato piú, non sarebbe stato sopportabile; — rispose: — Anzi, per l’assuefazione, l’avresti sopportato meglio. —
E in molte cose attenenti alla natura degli uomini, si discostava dai giudizi comuni della moltitudine, e da quelli anco dei savi talvolta. Come, per modo di esempio, negava che al dimandare e al pregare, sieno opportuni i tempi di qualche insolita allegrezza di quelli a cui le dimande o le preghiere