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128 | operette morali |
che, se anche fu mai persona che cogli altri vivesse da vero
e perfetto filosofo, nessuno visse né vive in tal modo seco
medesimo; e che tanto è possibile non curarsi delle cose
proprie piú che delle altrui, quanto curarsi delle altrui come
fossero proprie. Ma dato che quella disposizione d’animo
che dicono questi filosofi, non solo fosse possibile, che non
è, ma si trovasse qui vera ed attuale in uno di noi; vi
fosse anche piú perfetta che essi non dicono, confermata e
connaturata da uso lunghissimo, sperimentata in mille casi;
forse perciò la beatitudine e l’infelicitá di questo tale, non
sarebbero in potere della fortuna? Non soggiacerebbe alla fortuna
quella stessa disposizione d’animo, che questi presumono
che ce ne debba sottrarre? La ragione dell’uomo non è sottoposta
tutto giorno a infiniti accidenti? Innumerabili morbi che
recano stupiditá, delirio, frenesia, furore, scempiaggine, cento
altri generi di pazzia breve o durevole, temporale o perpetua;
non la possono turbare, debilitare, stravolgere, estinguere? La
memoria, conservatrice della sapienza, non si va sempre logorando
e scemando dalla giovinezza in giú? Quanti nella vecchiaia
diventano fanciulli di mente! e quasi tutti perdono il
vigore dello spirito in quella etá. Come eziandio per qualunque
mala disposizione del corpo, anco salva ed intera ogni facoltá
dell’intelletto e della memoria, il coraggio e la costanza sogliono,
quando piú quando meno, languire, e non di rado si
spengono. In fine, è grande stoltezza confessare che il nostro
corpo è soggetto alle cose che non sono in facoltá nostra, e
contuttociò negare che l’animo, il quale dipende dal corpo quasi
in tutto, soggiaccia necessariamente a cosa alcuna fuori che
a noi medesimi. — E conchiudeva che l’uomo tutto intero, e
sempre e irrepugnabilmente, è in podestá della fortuna.
Dimandato a che nascano gli uomini, rispose per ischerzo; A conoscere quanto sia piú spediente il non essere nato.